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Bici e Monti

Val Borago, quattro passi nella preistoria

Val Borago, quattro passi nella preistoria

L’anello del vajo Borago è la classica mezza giornata spesa bene quando si ha voglia di fare una bella sgambata senza andare lontano. E lontano di certo non si va visto che, volendo, ad Avesa si può arrivare anche con il bus (se si abita in città).

Oltrepassato il paese, che una volta era Comune autonomo, si risale la strada della Cola verso nord in una bella valletta che a me ricorda, per molti aspetti, l’entroterra ligure. Si supera la trattoria da Milio fino a incrociare sulla sinistra la via del Borago (dove si può anche parcheggiare, spazi limitati). Si risale la stradina che diventa sterrata fino a un bivio segnalato che indica, ancora a sinistra, l’inizio del sentiero europeo E5, che da Verona arriva al lago di Costanza, passando per Bolzano e Innsbruck. Noi, in questo caso, ci fermeremo a Montecchio, come indicato dalla freccia, percorrendo buona parte dell’area del Sic, Sito di interesse comunitario del Vajo Galina e Progno Borago.

Fatti pochi passi, ci lasciamo alle spalle il nostro mondo per entrare nella giungla, anzi in un’altra era geologica, l’Eocene, che ci interessa da vicino perchè in quell’epoca - fra 55 e 35 milioni di anni fa - le collisioni fra le placche continentali portarono alla nascita della Alpi (ma anche delle Ande e dell’Himalaya), delineando il pianeta come lo conosciamo oggi. La valle di Avesa era allora un ambiente tropicale nel quale si stavano formando (per sedimentazione degli organismi marini) le imponenti stratificazioni calcaree e di conglomerati che possiamo ammirare oggi percorrendo il fondo della forra. Rocce che sono state poi scavate da un impetuoso torrente, che scorrendo per milioni di anni ha lasciato spettacolari segni di erosione. Siamo infatti nel letto di un antico fiume, che ha inciso e modellato profondamente il canyon prima di scomparire, inghiottito da altri immani sommovimenti geologici.

La sensazione, entrando nel vajo Borago, è di essere stati precipitati davvero in un’altra era, in una scena da Jurassic Park che sorprende e colpisce. La camminata non è agevole, anche se il sentiero è bene indicato: ciottoli, sabbia, vegetazione ma anche massi, tronchi, muschio, pozze d’acqua, guadi rendono l’escursione più avventurosa ma anche molto scivolosa, e bisogna per forza stare attenti a dove si mettono i piedi.

I sinuosi fianchi del vajo, con tetti e falesie a strapiombo, sono scolpiti dalla furia delle antiche acque (e da quella non da meno di alcuni antichi affluenti) e si allargano e stringono con una serie di monumentali meandri, dei covoli sotto i quali è inevitabile andare a curiosare (attenzione a possibili distacchi di roccia). Un ambiente selvaggio, primordiale ed emozionante, che periodicamente viene ancora modificato dalle piene improvvise causate dai temporali.

 

Dopo un’ora scarsa di cammino si arriva al punto più spettacolare, direi iconico, del percorso: una parete rocciosa alta una ventina di metri sbarra il corso del torrente, che in questo punto creava una cascata. Il turbinio delle acque ha scavato una grande «sala», una specie di marmitta dei giganti chiusa in alto da una volta di roccia crollata, dalla vegetazione e dalle liane. Un luogo scenografico, fotografatissimo, che ti resta sempre nel cuore.

Per proseguire nella nostra escursione, e superare il gradino della forra, bisogna risalire un sistema di scale metalliche, intervallato da un breve tratto attrezzato, facile ma un po’ esposto (attenzione). Quindi si torna nel letto del torrente e, sempre fra alte pareti di roccia, si prosegue in ambiente più luminoso fino a un nuovo gradino della forra. Si sale a sinistra nel bosco per gradoni fino a un bivio.

A sinistra si va al Maso Masetto sul sentiero E5, noi andiamo a destra riscendendo nel vajo per poi risalire più avanti sul versante opposto. Il sentiero corre ora sul bordo della forra (attenzione) fino a dove la valle si allarga. Si scende a sinistra (tratto scivoloso, c’è un cavetto di sicurezza) per risalire ancora una volta uscendo definitivamente dal vajo fino alle prime case di Montecchio.

 

Fin qui un paio d’ore. Dopo una sosta, si riprende il largo sentiero E5 (262 Cai) che scende verso il Maso e Avesa. Ora si percorre la collina fino al Maso, evitando una deviazione a sinistra indicata con una freccia di legno. Qui il panorama si allarga da un lato fino al lago di Garda, al monte Pastello e alle montagne del Bresciano, mentre dall’altro spunta il gruppo del Carega. Si imbocca la stradina asfaltata, molto frequentata dai ciclisti, che raggiunge un antico nucleo abitato. Si va a sinistra e, sempre seguendo i segni biancorossi, si scende in ambiente aperto fino a un bivio.

A sinistra si rientra ad Avesa in una quarantina di minuti, mentre a destra si percorre il crinale del monte Ongarine fino alla Crocetta (che piccola non è), per poi scendere su sentiero accidentato fino ad incrociare la Dorsale Renzo Giuliani che, verso sinistra, ci riporta ad Avesa, il delizioso borgo delle «lavandare» attraversato dal rio Lorì. Questo anello, con deviazione fino alla Crocetta, si percorre in circa 5 ore, in tutte le stagioni (un po’ meno d’estate). La prima parte non è molto adatta ai bambini. E le scale sono un bell’ostacolo per un cane. Ah, dimenticavo: affrontare il canyon in bici non ha senso.

Claudio Mafrici

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