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Monte Cimo, camminare sopra il «Grand Canyon»

Siamo sul monte Cimo! (Mafrici)
Siamo sul monte Cimo! (Mafrici)
Monte Cimo (Mafrici)

Comincio subito con una certezza: il monte Cimo esiste, non è solo un’espressione geografica! Certo, questa montagna è più nota agli arrampicatori che agli escursionisti e individuarne la cima non è facilissimo, pur essendo lì, sopra Spiazzi, ai piedi del monte Baldo.

Diciamo che bisogna essere motivati nella ricerca, perché non è proprio segnalato e questa non sembra essere una priorità per i “local”. Ma vale assolutamente la pena. Vista dalla Val d’Adige, la lunga bastionata rocciosa del Cimo fa una certa impressione, e sulle sue pareti sono state tracciate molte vie di arrampicata di grande impegno tecnico su splendido calcare (Nicola Tondini docet).

Come spesso accade, a un versante dirupato e inaccessibile ai non arrampicatori (con la sola eccezione del sentiero 71 che da Canale raggiunge la Madonna della Corona), fa da contraltare un tranquillo e panoramico crinale. Spiazzi è famoso per il santuario mariano, che quest’anno celebra i suoi primi 500 anni. Quassù, a 900 metri di quota, i turisti non mancano mai. Quasi nessuno, però, sale sul monte Cimo.

Tutti vanno alla Corona, che si raggiunge in discesa a sinistra (c’è anche la navetta). Noi invece, dal parcheggio andiamo a destra in salita su asfalto (piccolo cartello circolare rosso C.9), e in un attimo siamo in località Maso. Ancora un po’ di salita e si arriva a un bivio. Il C.9 ci invita ad andare a sinistra, anche se un altro cartello ben più evidente, su una sbarra, avverte che siamo in una proprietà privata ed è vietato l’accesso. In attesa che le due segnalazioni si mettano d’accordo, noi aggiriamo la sbarra e seguiamo la stradina erbosa che sale verso il ciglio del precipizio.

Ben presto si scorge in basso, fra gli alberi, la Madonna della Corona. Un ardito punto panoramico permette la spettacolare foto dall’alto del santuario, mentre più in basso si ammira la profonda frattura del Vajo dell’Orsa. Si prosegue sulla stradina, che diventa ben presto sentiero, il sentiero delle trincee, scavate dall’esercito italiano a balcone sulla valle dell’Adige. La traccia è evidente e segnalata in biancorosso, con alcune tabelle che illustrano le cave, la geologia, la fauna e la flora del Baldo. Interessanti, ma io vorrei sapere dov’è la vetta.

Siamo sotto il Cimo, ma nessun cartello lo indica. Il sentiero corre più o meno in piano, delimitato da uno o più cavi d’acciaio, utili soprattutto in direzione dei vicinissimi strapiombi sulla valle, ma che indicano anche la presenza di una proprietà privata che arriva fino al ciglio della montagna e anche oltre. Lungo questo corridoio proseguiamo fino a un punto panoramico, usato durante la Grande guerra come osservatorio. Da qui si controlla un bel tratto di quel fantastico «Grand Canyon» che è la Val d’Adige. E il paragone non è una forzatura, visto che anche il famoso geografo Eugenio Turri si esprimeva in questi termini.

In alcuni punti mi vengono in mente anche le gole del Verdon, in Provenza. In ogni caso, spettacolo. Seguendo i tondi del C.9 si superano altre trincee e si arriva a una grotta (deviazione per la falesia di Maso Corona). Dopo una nuova risalita (in precedenza eravamo scesi un po’) si arriva a uno strano bivio con freccia e segni biancorossi che indicano a sinistra. Ma è chiaro che la cima è lì sopra, a destra. E infatti, risalito a destra un sentiero scalinato, si sbuca sul crinale, al bordo di un vigneto, dove la vista si allarga verso il Baldo e il lago di Garda.

Si va a destra e si superano varie indicazioni geografiche fino a un palo che sostiene la tanto ricercata tabella «Monte Cimo, mt. 954 s.l.m.». Esiste davvero! Torniamo al bivio con freccia, e seguendo la segnaletica biancorossa si traversa lungamente nel bel boschetto, sul ciglio del precipizio, fino a risalire di nuovo sul crinale, sempre accompagnati dai cavetti metallici che delimitano la traccia (e dai soliti cartelli «dissuasori»). Arrivati a un curioso cancello a contrappeso, si trova l’indicazione del «Sentiero di Maria», uno dei pellegrinaggi per la Madonna della Corona, che da Rivoli sale alla Pozza Galet e poi al santuario, passando vicino all’ex forte di Cimo Grande.

Che è lì davanti a noi, sovrastato da una selva di antenne. Si passa da una proprietà privata ad un’altra: altri cartelli invitano - giustamente - a rispettare i prati, a seguire la carrareccia (vietata alle bici), a non sporcare, a non fare picnic. Come per il Cimo, zero segnalazioni del forte. Ma io so che c’è, avendolo visitato tanti anni prima, e quindi procedo. Si attraversano i fioritissimi pratoni sommitali, con scorci verso il Garda, fino a un altro cancello, fortunatamente aperto, che permette l’accesso all’area del Cimo Grande. Si entra con il dovuto rispetto e si cammina fino a un ponticello che permette di superare l’imponente vallo a difesa della parte alta del forte.

Nell’area delle antenne si notano i pozzi, che ospitavano due batterie di artiglieria, un tempo coperti da una cupola d’acciaio. Aggirato il vallo sulla destra si scende verso la Casa alpina Cabrini-Bresciani (l’ente proprietario dell’intera area), ma si gira quasi subito a sinistra nel bosco per arrivare all’ingresso del forte, su un ripiano con vista eccezionale sulla valle. Costruito fra il 1884 e il 1913, permetteva di controllare il tratto dal confine trentino al forte di Ceraino. L’interno è in parte crollato e non è accessibile. Merita una deviazione scendere per circa 200 metri verso un punto panoramico (staccionata) dove erano installate due delle primissime postazioni della contraerea italiana. Siamo sempre sul crinale, e i panorami sono di prim’ordine.

Finita l’esplorazione, si torna sui propri passi fino alle antenne e poi al cancello a contrappeso. Si costeggia l’altra proprietà privata lungo il C.9 fino a una singolare «casetta delle regole», da dove si scende sempre lungo un corridoio di cavetti fino alle sottostanti case, e da qui a destra, fra altre proprietà private (tutti qui tendono a sottolinearlo, questo aspetto...), su strada fino al bivio del Maso e quindi al parcheggio.

Il giro dura circa due ore, il dislivello è minimo (circa 150 metri), è necessario seguire i percorsi prestabiliti (tranne che per la salita al monte) e comunque non ci sono alternative, si presterebbe anche alla mtb che viene però scoraggiata. Pensando al Cimo Grande mi stupisco di come Verona non sia ancora riuscita a creare un vero e proprio circuito dei forti che avrebbe un valore internazionale, storico e turistico, o un’Alta via fra Verona, l’Est, la Lessinia, la Valpolicella e la Val d’Adige che colleghi i vari bastioni austriaci e italiani (che sono tantissimi). Un percorso che, di fatto, esiste già. Basterebbe solo segnalarlo.

Claudio Mafrici (claudio.mafrici@larena.it)

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