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Adamello, missione compiuta

Claudio Mafrici (a destra) con Enrico Giardini sull'Adamello
Claudio Mafrici (a destra) con Enrico Giardini sull'Adamello
Adamello, missione compiuta (Mafrici).

La puoi girare come vuoi, ma Adamello fa sempre rima con fatica. È il bello e il brutto di questa montagna che rappresenta comunque sempre un traguardo di tutto rispetto. Perché l’Adamello è grande e imponente. Tutti gli itinerari di accesso sono lunghi e appunto faticosi, e con i ghiacciai in ritirata (da decenni peraltro) le cose non si sono semplificate, anzi. In questa annata particolarmente siccitosa, poi, la scarsità di nevicate invernali e le temperature estive  elevate hanno portato in fretta alla luce il ghiaccio vivo, trasformando i trasferimenti sui ghiacciai a rischio per le scariche di pietre.

Nonostante tutte queste condizioni non ideali, l’Adamello si può fare. E sulla base di questa convinzione, insieme al mio collega Enrico Giardini, che da anni puntava alla vetta, ci siamo decisi a provarci. Io ero già arrivato in cima parecchi anni fa partendo dal rifugio Garibaldi: un percorso in buona parte glaciale che in queste condizioni non mi sembrava l’ideale. E allora, ecco la soluzione: seguire l’accesso meno glaciale, quello della Val Miller, tecnicamente più impegnativo ma complessivamente più sicuro.

Cominciamo col dire che l’Adamello è il punto culminante di un gigantesco altopiano ghiacciato che divide la Valcamonica, quindi Brescia, dalla Val di Genova, quindi Trento. Il punto di partenza per la Val Miller è il Ponte del Guat (1.528 m), che si raggiunge da Sonico attraverso una stretta strada asfaltata che sale all’imbocco della valle. Da qui si percorre lungamente la strada, poi da malga Frino sentiero, in direzione del rifugio Gnutti; ci vogliono un paio d’ore, superando le cosiddette Scale del Miller, un tratto di sentiero particolarmente ripido e faticoso. Sbucati in cima, si sale ancora fino al rifugio, che si vede solo all’ultimo e che si affaccia su una piccola diga, una delle tantissime che costellano l’alta Valcamonica.

Partendo prestissimo e avendo gamba, i 2.000 metri di dislivello che ci separano dalla cima si possono percorrere in giornata, ma è una esperienza per pochi. Noi, più modestamente, abbiamo deciso di percorrere l’itinerario in due giorni, pernottando al Gnutti e godendo della bellezza di queste selvagge montagne. Dal rifugio è subito evidente il seracco del passo dell’Adamello, fra il Corno Miller e la Cima Ugolini: è il nostro passaggio obbligato.

Quella per l’Adamello non è una escursione ma una salita alpinistica, seppure non difficile (PD+ è il grado di impegno), che richiede piccozza, ramponi, imbragatura e kit da ferrata per assicurarsi sulla via Terzulli, attrezzata con catene ma che non è una ferrata, con passaggi fino al terzo grado e tratti delicati non protetti (soprattutto in discesa), che in caso di rocce bagnate o innevate possono diventare davvero problematici. Insomma, poco difficile ma da non sottovalutare.

Fatta questa doverosa ma necessaria premessa, si parte prima dell’alba alla luce delle pile frontali, diciamo fra le 4 e le 4.30, e il primo tratto si percorre quindi al buio. Dopo una breve risalita, si cammina sulla copertura di un canale che trasporta l’acqua dal lago Miller al lago del Baitone (i diversi bacini idrici sono tutti collegati fra loro per garantire l’acqua necessaria alla produzione idroelettrica). Il segnavia da seguire è il numero 23. Arrivati a un grosso ometto di sassi si sale a sinistra lasciando il canale cementato.

Ora la salita si fa più decisa e fra rocce ed erba ci permette di superare il gradino vallivo che da accesso al cosiddetto Pantano del Miller, una zona acquitrinosa che si estende fino alla base dell’infinita morena che ci accompagnerà fino all’attacco della via Terzulli. Il primo tratto è ripido ma tutto sommato agevole, mentre la parte successiva sale lungo una pietraia nella quale le segnalazioni non sono sempre evidenti e i segni biancorossi e gli ometti possono trarre in inganno, visto che esiste un tracciato che percorre il sottostante vallone. Consiglio di tenere il più possibile la destra fino a una fascia di rocce levigate dai ghiacci, oltre la quale si apre la conca che porta all’attacco della via alpinistica attrezzata.

La Terzulli si percorre con imbrago e set con longe, le catene aiutano nella progressione e per la sicurezza, ma sono continue solo nel primo e nell’ultimo tratto, quelli più esposti. Sono ancora presenti i fittoni che in passato permettevano di fare sicurezza utilizzando la corda, ma la via li segue solo parzialmente. Si sale alternando arrampicata facile e cammino fino alla placca finale, forse il tratto più impegnativo, specie in discesa e ancor di più con roccia umida.

Sbucati sul passo dell’Adamello, ci troviamo di fronte il pendio glaciale, un vero e proprio muro, che va a fermarsi contro lo zoccolo basale della Cima Ugolini, sulla quale c’è il bivacco omonimo. In questo periodo il ghiaccio vivo obbliga a indossare i ramponi. Si traversa sul pendio glaciale verso sinistra (alle nostre spalle svetta il Corno Miller (3.370 m), stando a debita distanza dalla Cima Ugolini, che scarica spesso e volentieri. Percorsa sul ghiaccio questa specie di valletta, si sale sul Pian di Neve, che in queste settimane è più che altro una lavagna ghiacciata grigia, puntando a un evidente canalino di roccia chiara di fronte a noi che permette di salire sulla cresta dell’Adamello.

Noi abbiamo trovato una situazione delicata, con grossi massi pronti a staccarsi (e in effetti una «station wagon» di granito è caduta poco dopo il nostro passaggio). Con la necessaria attenzione si supera la crepaccia terminale, a tratti molto aperta, e si raggiungono le roccette e quindi la cresta che si segue poco sotto. Questo tratto finale è molto faticoso. Seguendo gli ometti si risale il pendio fino ad affacciarsi sulla impressionante parete Nord, quindi con un ultimo tiro si arriva sull’Adamello (3.556 m), «vetta sacra alla patria» come è scritto sulla lapide sotto il masso della cima. Arrivati in vetta, ci siamo trovati nel bel mezzo di una piccola cerimonia per celebrare i 150 anni degli alpini, con tanto di fumogeni tricolori e la presenza di due soldati e due poliziotti con alcuni accompagnatori. Per Enrico prima volta in Adamello. Fatto!

Dalla cima il panorama è eccezionale, anche se le nuvole ci hanno tolto in parte la visuale. Evidente l’assenza di copertura nevosa che mi ha ricordato gli anni siccitosi fra il 1989 e il 1991. L’avvicinarsi di un temporale ci ha convinto a scendere in fretta. La discesa va fatta con attenzione, considerato il rischio di scariche di pietre. Raggiunto il passo dell’Adamello, si percorre a ritroso la via Terzulli che, come detto, è più problematica in discesa che in salita (come sempre!), con tratti in cui si deve disarrampicare senza potersi proteggere.

Per fortuna la pioggia è iniziata una volta arrivati alla base della via alpinistica. Da lì in giù tutto senza problemi ma sempre massima concentrazione perchè sulle rocce è un attimo farsi male. E poi, letteralmente, non finisce più! Sono 2.000 metri fino alla macchina, dopo averne fatti 1.500 abbondanti di dislivello positivo. Noi abbiamo impiegato 4,50 ore per la salita, soste escluse e quasi 6 per la discesa fino al Ponte del Guat. Ma l’Adamello non si misura guardando l’orologio. Prima vengono le emozioni.

 

Claudio Mafrici

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