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L'INTERVISTA

Caporizzi, lo chef emergente: «Insetti sì, grazie. In cucina la rivoluzione è culturale»

Esperto in entomofagia, la sua tesi è diventata un libro di successo subito tradotto in inglese. "Individuare fonti alimentari alternative non è una scelta, è una necessità"
Loris Caporizzi, chef ed esperto in entomofagia
Loris Caporizzi, chef ed esperto in entomofagia
Loris Caporizzi, chef ed esperto in entomofagia
Loris Caporizzi, chef ed esperto in entomofagia

Loris Caporizzi è uno chef che ha il tocco dell’artista e il rigore dello scienziato.

Altrimenti non avrebbe scoperto com’è possibile preparare piatti sani e saporiti a base d’ insetti. Esperto di entomofagia sin dalla maturità, è uscito con 100 e lode dall’alberghiero Lagrange nel 2018 con una tesi-degustazione diventata un libro. «IncrEdibili Insetti: L’entomofagia in Occidente - Un cibo tra passato e futuro», subito tradotto in inglese.

E in Inghilterra, dopo l’avventura in Thailandia con lo chef Gaggan Anand e quella in Francia con Yannick Alléno e Alain Ducasse, è stato ingaggiato da «The Fat Duck». Un talento fuori dal comune Caporizzi, cervello in fuga giovanissimo - pur avendo un curriculum tanto nutrito ha soltanto 23 anni - che di tanto in tanto torna in Italia e se lo fa, come quest’autunno volando dal Big Ben ai cieli di Lombardia, c’è sempre un ottimo motivo.

Mangiare insetti: la gente è diffidente. Come si supera questa barriera eretta da secoli e secoli di tradizioni? L’interpretazione sbagliata che si tende a dare anche in contesti come quello di Futura Expo è che in una degustazione a tema del genere si mangino insetti e basta. Non è così, nessuno si sogna di indicare una nuova, unica via abbandonando le altre; semmai lo scopo è sottolineare la necessità di individuare fonti alimentari alternative.

Necessità, non scelta?

Assolutamente: la popolazione mondiale è in aumento, le problematiche legate all’impatto ambientale sono evidenti. Fondamentale trovare altri modi per alimentarci, pensare agli insetti ma anche alle alghe. Esiste una marea di prodotti plausibili.

Urge una rivoluzione culturale: il consumatore medio non capisce.

Certo: fatica ad immaginare, è riluttante ma il discorso non riguarda solo gli insetti, si estende ad ogni altra fonte alimentare per futuro. C’è un forte conservatorismo qui. L’Italia è un mercato difficile, legato alla tradizione. Regno Unito e America, senza basi solide come le nostre e con popolazioni interculturali, sono più facili da conquistare.

 

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L’Italia è così indietro?

Abbiamo fatto passi avanti dal 2018, quando s’è cominciato a trattare seriamente l’argomento dell’entomofagia. Entrato in vigore il decreto sui Novel Food, da 4 anni gli insetti sono stati formalmente accettati in tutta l’Unione Europea ma all’inizio la lista di quelli commestibili in Italia era vuota mentre in Inghilterra sono già legali da anni. Il primo insetto inserito qui è stato la camola della farina. L’introduzione è graduale, più lenta di quanto auspicato. Paghiamo anche i nostri formalismi, la burocrazia: ogni struttura è ingessata sul piano normativo, tutto è più complesso da attuare. Ma sono stati fatti dei passi e si può andare solo avanti, anche perché l’alimentazione tradizionale ha un impatto ambientale che non possiamo più permetterci.

 

Com’è nata di pubblicare un libro sull’argomento?

Quando è entrato in vigore il regolamento europeo, siamo stati tutti bombardati da tg e quotidiani: della serie, da domani mangeremo tutti soltanto insetti. Invece tuttora li acquisti solo con e-commerce e startup, la grande distribuzione non è attrezzata perché non c’è ancora richiesta. Per reazione al bombardamento mediatico ho deciso di approfondire, a coronamento dei miei studi. Informazioni, raccolte dati, appunti grafici: una mole di lavoro che è diventata un libro vero e proprio.

Dove ha preso la rincorsa per arrivare ai fornelli e diventare chef?

Non sono figlio d’arte, ma come tanti italiani sono cresciuto vivendo domeniche che erano vere celebrazioni del cibo. Le mie origini sono pugliesi, di Acquaviva delle Fonti in provincia di Bari, la meridionalità oltre che nel Dna è nei banchetti domenicali, nelle tavole imbandite, nell’abilità di mia nonna in cucina. Sin da piccolo il cibo nella mia testa è stato una festa. Un mondo che m’interessa da quando avevo 4-5 anni: volevo partecipare anch’io a questa festa, aiutare mettendomi il grembiule e allora sbattevo le uova, mettevo il sale nella pasta, m’impegnavo e mi sbizzarrivo. A 12-13 anni mi davo alla pasticceria, alle torte. I pomeriggi che gli altri trascorrevano giocando a pallone erano per me il tempo ideale per preparare torte. E poi, naturalmente... «Fai qualcosa anche di salato?» Per accontentare le richieste mi sono aperto a nuovi orizzonti.

Alunno modello?

Direi di sì. Ma anche ostinato: quando dovevo scegliere la scuola superiore tutti mi dicevano che era uno spreco andare a un liceo professionale, invece mi sono trovato bene. Terminato l’alberghiero, tutti a consigliarmi l’università. Ma io ho preferito proseguire i miei studi in autonomia senza necessità. Lavoro nella ristorazione anche 15-16 ore al giorno: il tempo che avanza è poco.

Ha lavorato ovunque, appunto, in ristoranti tutti di livello internazionale. Com’è stata l’esperienza con Carlo Cracco?

Era il 2016. È stata una tappa importante del mio processo di crescita.

Emigrato giovanissimo per trovare occasioni da sfruttare: inevitabile?

A 23 anni, dico di sì. Io non credo, per essere chiari, che l’Italia non mi avrebbe dato le competenze che ho sviluppato: ci sono ristoranti di altissimo livello, tecniche invidiate a livello mondiale. Ma volevo affrontare sfide ai limiti del proibitivo e vivere all’estero da solo a 17 anni ha rappresentato un bello stimolo. A 18 anni ero in Thailandia, lavoravo a Bangkok nel quarto ristorante migliore del mondo, il top dell’Asia. Emigrando la mia maturazione è stata anticipata. E quante occasioni di scambio: in cucina ti ritrovi ad avere a che fare con 30 nazionalità diverse.

Nel tempo libero cosa fa? Va al ristorante da cliente?

Non me lo faccio avanzare, il tempo. La passione fa sì che io cucini sempre, ma ho anche attività parallele: consulente indipendente allo sviluppo di prodotti, collaboro con startup, realizzo libri. Sono specializzato nel mondo del food ormai.

Il suo sogno?

Viaggiare. Il concetto di viaggio è legato alla scoperta culturale e gastronomica e mi spinge a fare spesso la valigia.

Prossima tappa?

Da Londra al Medio Oriente, per attività di ristorazione e progetti di supporto aziendale. Stanziale non sarò: le opportunità ci sono.•.

Gian Paolo Laffranchi

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