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L'intervista

I dieci anni del Papa. Don Marco Pozza: «Mi chiama Enfant terrible. È stato il richiamo di Dio»

Francesco taglia oggi il traguardo dei dieci anni alla guida della Chiesa cattolica. L'intervista con il sacerdote vicentino, cappellano del carcere di Padova, che ha fatto con Bergoglio programmi Tv.
Papa Francesco e don Pozza
Papa Francesco e don Pozza
Papa Francesco e don Pozza
Papa Francesco e don Pozza

Non solo l’ha incontrato e si sono parlati, don Marco Pozza, il prete degli ultimi, ha lavorato, a lungo con papa Francesco, tanto da instaurare un rapporto speciale. 

Cosa ricorda del suo primo incontro?
L'incredulità. Che mi ha fatto percepire quanto sono impreparato nel farmi visitare dalla bellezza. Alle notizie brutte ci credo subito, a quelle belle dico: “Ma sei sicuro che sia per me?”. E pensare che, appena eletto Papa, lo prendevo in giro quando sentivo che telefonava all’edicolante, alla casalinga, al panettiere. Lo deridevo! Son stato “fregato” da una sua telefonata. È lo stile di Dio con me: mi seduce proprio con ciò per cui lo irrido.

Il Papa e gli ultimi, lei ha toccato con mano questa dimensione. Cos’ha significato per i detenuti di Padova?
Essere nel cuore del Papa, dopo un iniziale senso di predilezione, è una responsabilità della quale senti il peso senza che te lo facciano percepire. Nella nostra galera le persone detenute hanno capito subito la portata di questa presenza: non siamo diventati santi all’istante, ma abbiamo capito che non siamo dannati a prescindere. Ha risvegliato il sospetto che, con Dio, ci sia sempre un’altra possibilità. Che nulla sia ancora perduto del tutto, che nel cuore del Papa c’è un posto speciale anche per Giuda: “Se tu torni, io ci rimetto le faccia per te!” sembra dire a tutti i Giuda della storia. Per chi ha perduto tutto, non sono paroline da catechismo o da messa prima. Sono parole di vita.

Nella sua vita di prete che spazio occupa il ricordo di quella via Crucis in pieno lockdown?
Ogni volta che passeggio in quella Piazza, ritrovo il brivido di quella sera del 2020. Ricordo un particolare, pochi minuti prima dell’inizio: siamo assieme a papa Francesco, sulla porta della Basilica. Lui, guardando la piazza vuota: “Chi l’avrebbe immaginata una Via Crucis così?”. L’avevamo pensata mesi prima per il Colosseo, come tutti gli anni: un attore invisibile, lo Spirito, l’ha fatta diventare uno dei picchi di spiritualità più alti dell’intero suo Pontificato. Prima di andarsene, alla fine, ci ha lasciato la croce che avevamo usato: “Portatela nella vostra chiesetta del carcere”. È ancora lì: ci guarda e ci riguarda tutti.

Com’è stato portare avanti progetti con lui e approfondire i capisaldi della fede attraverso l’analisi del Padre nostro, dell’Ave Maria, del Credo, di Vizi e virtù?
Sinceramente? Ogni volta che capita, per me, è come tornare bambino: seduto sulle ginocchia di mio nonno, davanti al caminetto, mentre mi raccontava di lui, della nostra famiglia, della vita. Delle sue peripezie. Così è con Papa Francesco. Penso di rivivere ciò che han vissuto i primi discepoli con Gesù: era così normale l’umanità di quell’Uomo che, in tanti giorni, facevano persino fatica a credere che fosse Dio. Quell’umanità li ha conquistati, avvolti e fatti crescere. È l’umanità di Papa Francesco – la spiritualità è scontata – a fare sì che tutta questa storia, che è inspiegabile, mantenga sempre la barra dritta.

Vi siete fatti delle confidenze reciproche, da uomo ad uomo?
Un gesto lo porterò nella tomba. Era una delle prime volte che stavamo assieme: avevamo, entrambi, la percezione d’essere l’uno un regalo per l’altro, fatto da Dio. Ascoltandoci, ci accorgiamo che ci stiamo confidando e cose di una delicatezza unica: io a lui. Ma anche lui a me. Mi guarda e mi dice: “Dammi la mano: sento di fidarmi di te”. Ce la stringiamo. E glielo prometto ancor prima che me lo chieda: “Non soltanto ora, ma nemmeno quando non ci sarai più, non scriverò una sola parola di questa nostra storia”. Mi sorride con un sorriso angelico. Da allora ci sono anni di confidenze, di inquietudini, paure, perplessità che entrambi abbiamo messi l’uno nel cuore dell’altro. Non farò mai diventare scoop uno solo di questi attimi: sarebbe come bestemmiare Dio

Si sente un po’ il “prediletto”?
Mi sono sentito tale appena ho riagganciato quella prima telefonata. Ma questa predilezione non è come la intendono gli uomini: raccomandato, favorito, preferito. È una predilezione di Dio, e le predilezioni di Dio non funzionano per i meriti - “Siccome ho fatto il bravo, allora mi merito questo” - ma per un grado di bisogno: “Siccome non sono stato affatto bravo e mi sono perduto, Dio mi viene a recuperare con una premura imbarazzante”. La mia storia di sacerdote è una storia frutto della misericordia che papa Francesco ha avuto con me. Che non son stato sempre un bravo prete. Vallo a capire tu come ragiona Dio: siamo nella logica che sceglie e (ri)sceglie sempre i più screanzati e discoli.

Ci racconta qualche parte dell’uomo e del pontefice che l’hanno colpita?
Il pontefice è sotto gli occhi di tutti. Dell’uomo mi affascinano i gesti della grammatica elementare: una telefonata per chiedere come stai, il succo di frutta sempre pronto quando arrivi, il suo non guardare mai l’orologio quando sta con te, l’aspettarti sulla porta, l’accompagnarti all'ascensore, la raccomandazione di salutare la famiglia, il chiedermi come stanno le nipotine. La cosa buffa, quando chiama: “Enfant terrible, come va?” È l’uomo Jorge che rende gigante il papa Francesco, non viceversa. È impossibile non rimanere stregati da questi gesti.

Cosa pensa di quella parte di chiesa che gli rema contro?
Che a causa di una forte acidità di stomaco, dovuta alle conseguenze di non credere completamente alla presenza e all’azione dello Spirito Santo, si sta perdendo una delle pagine di storia più scapigliate, colorate e profetiche di tutta la storia della salvezza. E Dio non è come il postino: suona solo una volta.

È preoccupato per le sue condizioni di salute?
Gli voglio bene, mi preoccupo sempre: anche quando lo vedo un po’ stanco in televisione, lo sento raffreddato al telefono. Sarebbe strano il contrario. Per il resto, questo non è un uomo normale: fa cose che gli umani non riescono. È uomo di Dio, dove il genitivo fa la differenza. Non governa con il fisico, governa con il cuore: per questo più lo vogliono morto più lui sente d’esser sulla strada giusta. Sulla traiettoria del Gesù che mi racconta. 

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Marialuisa Duso

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