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l'autobiografia della pellegrini

SupeFede, campionessa a nudo: «Io, le nozze, gli animali e la mia amata casa a Verona»

Federica Pellegrini domani a Milano per «Oro», la sua autobiografia. Alcuni stralci del libro dell’olimpionica alla vigilia della presentazione. Dettagli di vita privata: dal suo «nido» all’affetto per i cani e i gatti
Federica Pellegrini: la sua vita e i suoi successi sportivi raccontati in un libro
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Come sempre quando le cose vanno storte torno a Verona. Dove stavolta mi aspettava la casa che avevo finalmente comprato e mi piaceva tanto. La stessa dove vivo ancora. Avevo impiegato quasi un anno e mezzo a trovarla. Quando sono andata a vederla era ancora un cubo vuoto, che avrebbe dovuto essere diviso in quattro miniappartamenti da mettere in affitto. Sono entrata e sono rimasta folgorata dal finestrone gigante con un terrazzino affacciato su un piccolo fiume.

Da un lato c’è la strada, trafficata, ma dall’altra c’è questo scorcio di campagna silenziosa. Me ne sono innamorata subito. L’ho comprata e poi l’ho disegnata come la volevo.

Ha una stanza sul soppalco, una camera armadio dove tengo tutti i vestiti e le scarpe, il terrazzino sul fiume e un cortiletto interno. Adesso ci vivo con Matteo. E con Vanessa e Rocky e i loro figli Bianca e Cesare, i nostri bulldog francesi.

L'amore per i cani

Il primo cane Vanessa ha cinque anni ed è stata il mio primo cane. È l’amore della mia vita. L’ho presa a tre mesi in un allevamento. È un regalo che ci siamo fatti io e Matteo, una specie di prova di famiglia allargata. Ma non pensavamo che ci avrebbe cambiato così tanto la vita, non immaginavo l’impegno e l’amore che si sarebbe portata dietro.

Prendermi cura di Vanessa ha smontato le mie priorità. È stata la prima creatura a dipendere completamente da me, ogni volta che dovevo andar via per qualche giorno mi disperavo all’idea di lasciarla. È difficile dire cosa sia l’affetto per un animale, si rischia sempre di sembrare retorici e anche un po’ matti. Che sostituisca l’amore per il prossimo, addirittura per un figlio. Ma non sostituisce niente. L’amore per gli animali è un meraviglioso scambio senza parole, di sguardi, di odori, di corpi caldi che ti si strusciano addosso.

Amare gli animali, prendersene cura, significa imparare un altro linguaggio, più semplice, un altro modo di abbracciare il mondo. Gli animali e la loro irriducibile innocenza sono l’antidoto a tutto quanto di sbagliato c’è nella nostra natura di esseri umani. Ci guardano, si fidano, e noi impariamo a non tradirli mai. A non tradire.

La gatta e quella scommessa vinta...

Mafalda, la mia gatta, è stata la prima. È arrivata nel 2001 per una scommessa fatta con mio padre. I miei genitori erano sempre stati contrari a ogni tipo di animale in casa, perché già io e mio fratello bastavamo, dicevano. Erano anni che chiedevamo, se proprio non si poteva un cane, almeno un gatto. Nel 2001 ho vinto la prima scommessa con mio padre.

Gara importante, la più importante del circuito, avevo tredici anni. Papi, gli ho detto, se vinco la gara tornando da Montebelluna ci fermiamo a Padova alla fiera dei gatti, e se troviamo il gatto che ci piace lo portiamo a casa. Sì sì, tanto figurati se vinci la gara, ha detto lui. Ho vinto.

L’ho vista subito: rossa con il pelo lungo, proprio come la volevamo noi, bellissima. È stato un colpo di fulmine. Mafalda era un gatto strano, molto simile a un cane. Io la chiamavo la mattina e lei arrivava a letto. Riconosceva la mia voce. Ha vissuto quattordici anni. Quando è morta me la sono fatta tatuare.

Prima di lei avevamo avuto solo Titti, l’unica concessione di mio padre. Titti era il classico canarino giallo, che però ci portavamo ovunque, anche al mare. Quando è morto per me e Alessandro è stata una tragedia, eravamo piccolissimi.

La sera prima l’abbiamo visto gonfiarsi tutto e la mattina dopo l’abbiamo trovato morto stecchito nella gabbietta. I canarini non hanno una vita lunga. Ero accovacciata sul terrazzo e guardavo il mare, tristissima. Il mio babbo arriva con una piantina cresciuta da un semino di anguria che avevamo messo in un vaso e che aveva fatto le foglioline. Mi dice vedi, Fede, per ogni vita che se ne va ce n’è sempre una che arriva. È stato il suo modo di tirarci su il morale. Me lo ricordo ancora il bicchiere di cartone della Coca-Cola con le foglioline di anguria dentro.

Poi abbiamo preso una coppia di quei canarini con il becco rosso che hanno cominciato a fare figli. Un gran casino, però è stato bello vederli fare il nido, vedere le testoline dei piccoli che mangiavano.

Quando è arrivata Mafalda fine degli uccellini. Mafalda aveva l’istinto della cacciatrice. Acchiappava le cavallette e dal terrazzo le portava dentro casa a mia madre, che ha la fobia.

Neve e Lucky

Dopo Mafalda è arrivato un altro gatto, Neve, che vive ancora coi miei. Nel periodo in cui ero tornata a Verona, entrando in un centro commerciale sono passata davanti a un negozio di animali. In vetrina c’erano tre persiani bianchi, mezzi giallini, sporchi, che miagolavano. Ho fatto tre passi avanti, poi sono tornata indietro. Ho comprato gatto, trasportino, lettiera. Adesso è un gattone tutto pelo e vive con i miei. Gliel’ho lasciato quando ho capito che a casa mia sarebbe stato troppo solo.

Nel 2008 Neve è caduto dal terrazzo. Io in quel momento ero a Pechino, la mattina dopo mi hanno mandato la foto del gatto con le fasciature e i chiodi. Aveva la zampina bianca e il veterinario gli aveva messo la fasciatura verde e rossa perché sapeva che era il mio gatto e aveva voluto fare la bandiera italiana.

Ho avuto anche un drago barbuto, Lucky, che ho trovato abbandonato nel parcheggio della piscina. Aveva la coda rotta e una zampa a pezzi. L’ho preso e l’ho portato a casa. Ha vissuto altri due anni. Sotto lo sguardo vigile e poco cordiale di Vanessa. Che si metteva davanti alla sua gabbia di vetro e lo sfidava, battendo con la zampa.

Rocky è arrivato un paio d’anni dopo Vanessa. Grosso come un pugile e un guerriero. Ha una testa enorme. All’inizio Vanessa era un po’ diffidente, poi l’amore ha trionfato e sono nati quattro cuccioli.

Bianca si chiama così per il colore del pelo, mentre Cesare è in onore del nostro veterinario perché quella in cui sono nati è stata una notte molto particolare. Lunghissima, incredibile. Lui ci ha aiutato tanto, anche con gli altri due che se ne sono andati. Gas era destinato a mio fratello, il nome gliel’aveva dato lui. Ma è morto quasi subito, dopo tre settimane.

Gina invece aveva già quasi due mesi. Si sono ammalati tutti, uno alla volta. Hanno preso un’infezione respiratoria. Starnutivano, tossivano, solo i due più forti se la sono cavata. Gina è morta nel letto con mia mamma, mentre Vanessa la leccava. Gas invece lo abbiamo lasciato dal veterinario una sera, pensavamo si potesse riprendere ma la mattina ci hanno chiamato e ci hanno detto che non ce la faceva più. E stato un gran dolore, ancora oggi pensarci mi fa piangere. 

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