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Lo scherzo di tre ragazzi di Livorno

Dopo 38 anni, la beffa delle teste di Modigliani diventa un film

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Da sinistra Michele Ghelarducci, Piero Luridiana e Francesco Ferruccio nel 1984: mostrano la testa da loro scolpita e gettata nel fosso, poi attribuita a Modigliani
Da sinistra Michele Ghelarducci, Piero Luridiana e Francesco Ferruccio nel 1984: mostrano la testa da loro scolpita e gettata nel fosso, poi attribuita a Modigliani
Da sinistra Michele Ghelarducci, Piero Luridiana e Francesco Ferruccio nel 1984: mostrano la testa da loro scolpita e gettata nel fosso, poi attribuita a Modigliani
Da sinistra Michele Ghelarducci, Piero Luridiana e Francesco Ferruccio nel 1984: mostrano la testa da loro scolpita e gettata nel fosso, poi attribuita a Modigliani

Dopo 38 anni, una delle più grandi beffe nella storia dell’arte torna alla ribalta con un progetto cinematografico, che ha per protagoniste le (false) teste di Amedeo Modigliani, visibili a Palazzo Bonacossi di Ferrara fino al 25 settembre nell’ambito della mostra «Fakes».

Anno 1984: è il centenario della nascita di Modigliani, a Livorno sono in mostra quattro delle 26 teste realizzate dall’artista. Secondo una leggenda, lui stesso avrebbe gettato nei fossi livornesi quattro sculture, ritenute insoddisfacenti, prima di andare a Parigi. In occasione dell’esposizione, partono gli scavi per la ricerca: nessun risultato. Entrano in gioco tre goliardici studenti universitari, Michele Ghelarducci, Pietro Luridiana e Pier Francesco Ferrucci, che decidono di realizzare una testa con i tipici tratti "alla Modigliani" e la gettano nel fosso. Il 24 luglio avviene il ritrovamento: la notizia fa il giro del mondo, esperti e critici d’arte si dividono, la burla entra nella storia. Anche Vittorio Sgarbi (ideatore della mostra ferrarese), che era tra gli scettici, al tempo fu chiamato a esprimersi sulla «sconcertante e divertente» storia delle pietre di Livorno.

Ora i tre autori - contattati dalla Fondazione Ferrara Arte - spiegano di voler raccontare questa incredibile storia in un film. Ma non sono gli unici: in parallelo, anche il regista livornese Paolo Virzì ci sta lavorando, come ha riportato «il Tirreno». «Il taglio che vogliamo dare - spiega Ferrucci, oggi oncologo e direttore dell’Unità di bioterapia dei tumori all’Ieo di Milano - è del tipo "Amici Miei" di Monicelli, giocoso, ma sempre veritiero, a tratti profondo, lasciando la possibilità di immedesimarsi in personaggi autentici. È la storia di tre ragazzi che si trovano catapultati nel mondo degli adulti proprio nell’attimo in cui avrebbero voluto rimanere ancora adolescenti. Lo scherzo voleva forse proprio rimandare il più in là possibile il passaggio all’età matura». Vogliono anche «chiarire molti punti rimasti inesplorati», primo su tutti «il tentativo di strumentalizzazione politica del nostro gesto: nella Livorno dove è nato il Partito Comunista, ancora oggi c’è chi lo etichetta come una burla di ragazzi di buona famiglia nei confronti del popolo».

C’è anche il desiderio che le opere trovino collocazione permanente in un museo a Livorno, «con un percorso che racconti la vicenda». Trentotto anni dopo lo rifareste? «Certamente, sì, è stata una trovata intelligente, non ci eravamo posti obiettivi ambiziosi, ma è stata un’esperienza che ci ha fatto crescere. Siamo tuttora molto amici, abbiamo condiviso un periodo della vita che ci ha legato in modo indelebile, pensiamo come una testa sola». Una testa «per» Modigliani.

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