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L'intervista

Andrea Roncato: «Le mie estati con Calà e Abatantuono: per conquistare le ragazze ci scambiavamo le auto, così sembrava ne avessimo di più»

L'attore, conduttore e doppiatore si racconta a Bresciaoggi: 50 film per il cinema, 57 fra serie e programmi per la televisione, e spettacoli teatrali e nelle piazze
Andrea Roncato
Andrea Roncato
Andrea Roncato
Andrea Roncato

Attore. Doppiatore. Insegnante di recitazione. Conduttore. Scrittore. Direttore artistico. Ambasciatore di campagne di sensibilizzazione (per i bambini disabili, per cause animaliste). Cresciuto studiando assai, dal solfeggio al conservatorio alla laurea in giurisprudenza, ha imparato il mestiere che si è scelto attraverso corsi d’interpretazione in Italia come negli Stati Uniti. Risultato: 50 film per il cinema, 57 fra serie e programmi per la televisione, e spettacoli teatrali, e nelle piazze. Una bacheca piena di riconoscimenti, dai Telegatti ai premi alla memoria di Walter Chiari e Totò... «per poi sentirmi chiedere sempre di Moana Pozzi». Andrea Roncato ci scherza sopra (ne è capace, eccome). Certo, playboy lo è stato. Belle donne ne ha frequentate (Moana e non solo). E certo i suoi flirt hanno riempito paginate di riviste, al tempo. Ma il suo curriculum va ben al di là, tanto che quando ha potuto ha pensato bene di unire l’utile al dilettevole.

È vero che con Diego Abatantuono e Jerry Calà c’era l’abitudine di affittare una villa a Riccione per l’estate?

Sì. Jerry, Diego ed io facevamo le nostre serate di lavoro e poi stavamo in giro tutta notte. Viale Ceccarini era pieno fino all’alba come un autobus all’ora di punta. Era tutto bello allora. Sembravamo degli universitari alla festa delle matricole. Scherzavamo sempre. Per conquistare le ragazze ci scambiavamo le auto, così sembrava ne avessimo di più. Non puntavamo su addominali scolpiti, le facevamo divertire.

Oggi?

Credo che quelle notti magiche finite all’alba mangiando piadine tutti insieme siano irripetibili. Noi in quel momento eravamo le star, ma non era solo quello: era il bello di ritrovarsi in mezzo a gente allegra. Per questo i film degli anni ’80 vengono replicati con successo: c’era quell’atmosfera di spensieratezza. Oggi quell’Italia non c’è più, si parla di ammazzamenti e malattie ad ogni livello. Difficile uscire dal cinema felici e contenti.

Si è raccontato nel libro-intervista «Non solo Loris Batacchi» curato da Antonio Santoriello. Dal duo comico Gigi e Andrea è passato alle fiction come Don Tonino e Carabinieri, dai cinepanettoni con Boldi e De Sica a Fantozzi, ma anche a cinema d’autore con Avati, Muccino e Virzì. Un percorso del genere sarebbe stato possibile con i vincoli del politicamente corretto che impera di questi tempi?

Sì, perché a ben vedere la comicità di allora era molto meno volgare di quella di oggi. Il cabaret di una volta era gioioso e rispettoso anche quando faceva gag sulle chiappe, non c’era la malizia di adesso. E nell’80, alle prime presenze televisive, dovevo dire «fondoschiena» anziché «sedere»: si stava attenti anche allora. È solo che adesso anche nei film c’è più la tendenza a parlare di cose tristi, di argomenti pesanti.

Loris Batacchi non verrebbe accusato di sessismo?

Chi l’ha detto o scritto non ha capito nulla di quel personaggio. Era una parodia, non un’esaltazione! Ma si fabbricano sempre più ottusi, nel campo della comunicazione. Se salvo gli animali con la Sfattoria degli Ultimi, 250 fra maiali e cinghiali presi feriti nei boschi, non faccio notizia. Più facile prendere clic e visualizzazioni parlando d’altro. E quanto al sessismo: oggi si vedono programmi in cui le ragazze imparano come mostrare meglio il didietro per rubare i fidanzati alle altre, quando alla prima domanda dimostrano di non sapere nemmeno qual è la capitale della Francia. Al confronto quelle degli anni ’80 e ’90 erano delle suore. Decisamente più preparate, peraltro.

Se le dico Edwige Fenech?

Una bellezza autentica, come usava una volta. Le belle di allora erano vere, coi loro difetti ma col loro grande fascino. Adesso sono di plastica, nemmeno più eccitanti. Si rifanno tutte e nelle foto si allungano le gambe, si fanno i filtri. Il loro specchio è ciò che riescono a pubblicare su Instagram. Pazzesco.

Oltre quarant’anni di carriera, senza mai sparire dai radar. Il trucco?

Semplicemente, io amo questo mestiere. E amo profondamente il pubblico. Mi presto volentieri ad autografi e selfie. Quelli come me non fanno questo lavoro per calcolo, ma per il piacere di far ridere la gente. Per questo siamo durati tanti anni. Ci siamo evoluti. Per dire, Calà è andato oltre il «Capito?!»; Boldi oltre il «Cipollino».

Lei che era Margheritoni in «Mezzo destro mezzo sinistro» ha recitato nel «Diabolik» dei Manetti Bros: più facile evolversi per chi è nato comico?

Senz’altro. Per far ridere bisogna prima saper piangere delle cose. Quando ridi tanto alla fine piangi, o viceversa: le emozioni nascono così.

Mai stato preso in contropiede?

Sì, da una corteggiatrice che mi portò un mazzo di fiori. E da una ragazza che corteggiavo io: aveva una chioma splendida e le cantavo «Quanti capelli che hai», citando «Cara» di Lucio Dalla. Pareva non mi calcolasse, andava in giro in barca... finché non mi arrivò un suo messaggio. C’era scritto «E di tanti capelli ci si può fidare. Domani lascio la barca e arrivo da te».

Tanti set nella sua carriera: mostri sacri?

Registi come Martino e Corbucci, Virzì e Muccino, Bomoll e Di Francisca. E Avati! Lui tira fuori tutto il bello che hai dentro. Se reciti male con Avati, cambia mestiere. La qualità maggiore è l’umiltà: Tony Curtis in «Grand Hotel» mi chiedeva se stesse andando bene. Lui, che veniva da Hollywood, a me.

Chi le piace adesso?

Apprezzo Borghi, Marinelli, il grande Castellitto. Ero innamorato di Sordi e Pozzetto, portatore di un umorismo nuovo. Villaggio era un genio, De Sica è un attore vero. Oggi vedo più ridicoli che comici. Mi piacciono Angelo Duro, Teresa Mannino, naturalmente Paola Cortellesi. Ho lavorato con Elena Sofia Ricci e Micaela Ramazzotti: con lei, bravissima, adesso sono in una serie su Sky, «Un amore», assieme a Stefano Accorsi e Ottavia Piccolo. Uscirà a novembre.

Nel 2011 era sul set del film «Almeno tu nell’universo» con Giulia Elettra Gorietti, figlia di Nicole Moscariello che è diventata sua moglie.

La madre le diceva di starmi attenta, ché ero un donnaiolo, ed io mi sono innamorato di lei. Adesso le dico sempre che si è sacrificata per salvare sua figlia...

Cosa farà domani?

Sto scrivendo con Luciano Odorisio una serie tv. E spero di girare un film da regista sugli animali. Non è facile, ma è il mio sogno.

Gian Paolo Laffranchi

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