<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
LA STORIA

Lia, 17 anni: «Ho il diabete fin da bambina: sono una funambola della vita»

«Era l’estate della V elementare, ero sempre stanca, bevevo moltissimo. Vivo con due aghi sotto pelle, non è facile. Ho perso la spensieratezza dell’infanzia»
Misurazione della glicemia: la tecnologia permette cure personalizzate
Misurazione della glicemia: la tecnologia permette cure personalizzate
Misurazione della glicemia: la tecnologia permette cure personalizzate
Misurazione della glicemia: la tecnologia permette cure personalizzate

Una funambola. Una che vive in perenne equilibrio, sospesa tra «normalità» e malattia. Lia ha 17 anni e da sette ha il diabete di tipo 1, quello autoimmune che colpisce soprattutto bambini e giovani.

«Vivere con questa malattia è vivere in bilico, appesi ad un filo che basta niente per cadere e farsi male», sospira. «Avevo 11 anni», racconta, «era un giorno d’estate quando all’improvviso la mia vita è stata stravolta. C’era caldo, avevo fatto gli esami di terza media e mi sentivo strana. Davo colpa alla stanchezza per lo studio, all’afa, alla tensione accumulata, bevevo tanto, più del solito. Ed ero magra, più del solito. Scolavo intere bottiglie di Estathè ma non bastavano mai. Ero fiacca, di una stanchezza anormale». 

La diagnosi a 11 anni: «Uno tsunami»

Lia oggi è al quarto anno di liceo classico, vive in provincia, e parla senza difficoltà del suo diabete: «Più si sa, meglio è. Più si sensibilizza la gente», dice, «e più noi malati ci sentiamo compresi. Perché quando arriva uno tsunami come questo, beh, tutto cambia e, soprattutto se sei poco più di un bambino, tutto diventa nero, non capisci, ti arrabbi e la tristezza, insieme alla paura, ti ruba la spensieratezza». 

Lia torna a quel terribile luglio del 2016: «La mia famiglia aveva dato la colpa al fatto che stessi crescendo, che il mio corpo si stesse trasformando, fino a quando, un pomeriggio, dopo aver fatto le analisi del sangue perché la situazione non migliorava, sono stata catapultata in ospedale perché avevo valori anomali della glicemia. Ecco, quel giorno, che ho chiarissimo nella mente, è iniziata la mia battaglia: la diagnosi di diabete, arrivata immediata, mi trasformava in una malata-cronica che avrebbe dovuto combattere tutta la vita per la carenza di insulina prodotta dal pancreas. Ma che ci potevo capire, io? Ero piccola. Ed ero spaventata». 

«Vietato distrarsi. Mi manca la spensieratezza»

Lia prova a scherzarci su, ma sorride amaro: «I tipi più comuni di diabete sono l’1 e il 2, il primo è il più grave. A me, ovviamente, è capitato l’1, il più difficile da gestire, la cui unica cura erano, al tempo, le iniezioni di insulina. Per una bambina che per undici anni aveva avuto una paura enorme degli aghi, il fatto di iniziare a farsi ogni giorno delle punture è stata una grandissima prova di coraggio». Quattro per la precisione: «Tre prima dei tre dei pasti principali e una alla mattina o alla sera», precisa Lia, «almeno nella fase iniziale della malattia. Non è stata, non è, una passeggiata».

I valori della glicemia a digiuno per una persona sana vanno tra i 70 e 100 milligrammi per decilitro. «Il giorno della mia diagnosi, a stomaco vuoto», continua, «avevo 282, valore che ormai ho spesso e che molte volte supero. Ecco perché mi sento una funambola: essere diabetici vuol dire cercare di non cadere né nell’ipoglicemia da una parte né nell’iper dall’altra. Non importa dove si è, cosa si sta facendo, qual è il proprio umore: bisogna sempre continuare a stare su quella fune, vietato distrarsi, potrebbe essere molto pericoloso...».

I passi avanti con i microinfusori salvavita

«Per fortuna», va avanti Lia, «la mia diagnosi è avvenuta nel 2016, momento in cui si stavano sperimentando i primi sensori e i primi microinfusori, i miei attuali salvavita. Vivere dipendendo dalle macchine non è facile, ma di certo la tecnologia negli anni ha migliorato la qualità delle nostre esistenze: ci sono persone che continuano a farsi le iniezioni con le penne e a usare il glucometro, altre che utilizzano penne e sensore, altre che vivono con due aghi sottocutanei come me. Avere il “micro“, come lo chiamo io, ha i pro e i contro, di certo mi permette di stare un po’ più tranquilla. Vabbè, lo ammetto, tranquilla non lo sono per niente. Perché è inutile, vivere con questa malattia vuol dire avere più pensieri e preoccupazioni degli altri. A volte ti fa sentire inadeguata e non ti abitui mai. Perché non ci si abitua a stare svegli la notte per una ipoglicemia, non ci si abitua a mangiare per forza o a non poter mangiare per niente, a un sensore che scade prima del dovuto o che si ferma. Negli anni impari a conviverci, e pian piano ti dimentichi com’era la vita “prima“ senza tutte queste responsabilità. E mi viene il groppo perché mi manca da morire quella spensieratezza. Ma poi mi consolo e mi dico che, alla fine, il diabete mi ha reso ciò che sono oggi: non sarei la stessa senza lui».
 

Camilla Ferro

Suggerimenti