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L'INTERVISTA

Lo specialista di disturbi alimentari: «L'ossessione per il corpo non riguarda solo le atlete»

Riccardo Dalle Grave ha avuto in cura alcune campionesse di ginnastica
Riccardo Dalle Grave ha avuto in cura alcune campionesse di ginnastica
Riccardo Dalle Grave ha avuto in cura alcune campionesse di ginnastica
Riccardo Dalle Grave ha avuto in cura alcune campionesse di ginnastica
Riccardo Dalle Grave ha avuto in cura alcune campionesse di ginnastica

Si è scoperchiato il vaso di Pandora dopo le denunce sui presunti maltrattamenti subiti da molte atlete della ginnastica ritmica italiana. Umiliazioni e angherie da parte degli allenatori, fra mortificanti pesate in pubblico e aspre critiche se i chili venivano considerati “troppi“. Scivolate, per questa causa, nella spirale dei disordini alimentari, alcune ginnaste plurimedagliate sono arrivate a curarsi a Verona: fra loro, anche l’olimpionica Vanessa Ferrari. In città opera uno dei maggiori esperti nella cura dei disturbi del comportamento alimentare (Dca): il professor Riccardo Dalle Grave, da molti anni responsabile dell’unità funzionale di riabilitazione nutrizionale alla clinica Villa Garda, nonché direttore scientifico Aidap (Associazione italiana sui disturbi dell’alimentazione e del peso) e direttore sanitario del centro Ada. È inoltre specializzato in endocrinologia e psicoterapeuta. Dalle Grave, che rintracciamo telefonicamente ad Abu Dhabi mentre sta intervenendo un convegno internazionale sul tema, avverte: il problema, sul quale le ginnaste italiane hanno strappato il velo del silenzio, riguarda in realtà moltissimi giovani.

Professor Dalle Grave, ha avuto in cura le campionesse della ritmica che hanno denunciato i maltrattamenti?
Sì, alcune, di cui però sono tenuto a tutelare la privacy. Ma non solo. Dalla nostra clinica sono passate anche pattinatrici su ghiaccio e atlete di altre discipline “antigravitazionali”: quelle in cui il corpo snello dovrebbe essere funzionale alla miglior riuscita di salti e acrobazie. Queste sportive avevano subìto le stesse pratiche: restrizioni caloriche per ridurre la massa grassa, pesate in pubblico e sgridate. Alcune mi raccontarono di aver preso l’abitudine di vomitare prima degli allentamenti.

Ma i disturbi alimentari, negli ultimi tempi, sono in aumento anche al di fuori dello sport...
Sì, drammaticamente. Soprattutto negli anni della pandemia di Covid, le richieste di trattamento sono quasi raddoppiate. E l’incidenza, su cui solo in America è stato condotto un monitoraggio recente, è aumentata del 15 per cento, in particolare nella fascia d’età fra la preadolescenza e i 18-20 anni. Soprattutto fra le femmine.

Cosa ha scatenato questa ondata di disturbi alimentari fra i ragazzi?
Il Covid, con le relative restrizioni alla socialità, ci ha resi tutti più soli, più impauriti e stressati. I giovani, trovandosi per lunghi periodi senza scuola e relazioni dal vivo con i coetanei, si sono tuffati nei social network. Una realtà virtuale e falsata dove, come sappiamo, viene glorificata la magrezza quale requisito imprescindibile per un corpo perfetto ma, ancor di più, per il successo.

Il ventaglio è purtroppo ampio. Ma fra queste patologie qual è la più diffusa?
Il maggior numero di diagnosi, per i giovani e giovanissimi, riguarda l’anoressia nervosa. Che non si lega tanto al desiderio di raggiungere un canone estetico. A una anoressica di 30 chili l’estetica non interessa. L’origine sta nella volontà di controllo del peso e della forma del corpo, che è un metro di autovalutazione. E cioè: maggiore è la capacità di controllo, maggiore sarà - nella mente di chi soffre di anoressia nervosa - il proprio valore. La valutazione di sé, insomma, si focalizza quasi esclusivamente sul corpo e la possibilità di influire su di esso.

A quale età si può considerare i giovani “fuori pericolo”?
Benché il picco, per l’anoressia nervosa, si registri attorno ai 17 anni, con esordi a 11, 12, 13 anni, mentre dopo i 25 si assista a una riduzione, purtroppo non esiste un’età senza rischio di disturbi alimentari. Più raramente, ma possono insorgere anche a 30 anni e oltre.

Quali sono i campanelli d’allarme che genitori e insegnanti dovrebbero imparare a riconoscere?
I fattori di rischio sono di vario tipo. Psicologici: la bassa autostima e la tendenza al perfezionismo. Fisici: un alto peso in età precoce, ma anche, viceversa, un peso basso. E poi fattori ambientali: traumi nell’infanzia, l’essere stati vittime di bullismo, essere inseriti in ambienti dove il peso viene fatto diventare un problema, come nel caso delle ginnaste. Devo dire, però, che nonostante tutto c’è più informazione e sensibilità rispetto al passato. 

Le famiglie contribuiscono a facilitare diagnosi più precoci?
Sì, le famiglie e anche la scuola. Se tempo fa potevano passare anni prima che un paziente giungesse in terapia, ora arrivano a pochi mesi dall'esordio. E questo fa molta differenza nelle possibilità di guarigione, che passa attraverso la psicoterapia. A Verona usiamo la Cbt-E, la Terapia cognitivo comportamentale migliorata, che pone il paziente in un ruolo attivo sul percorso di cura.

Cosa si potrebbe fare di più, a livello sociale, per proteggere i ragazzi?
Penso che, per esempio, i medici sportivi potrebbero fare molto per combattere le cattive pratiche e diffondere la cultura dello sport sano. Gran parte delle atlete che hanno subito vessazioni, per esempio, erano fortemente sottopeso: alla visita sportiva, sarebbe dovuta scattare in automatico l'indagine su possibili disturbi alimentari e relative cause..

Lorenza Costantino

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