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L'università di Verona

Lo studio: la fibrosi cistica rallenta l'infezione da Covid

Il servizio di microbiologia dell'ospedale Policlinico di Borgo Roma. Nella foto il professor Davide Gibellini con il suo team
Il servizio di microbiologia dell'ospedale Policlinico di Borgo Roma. Nella foto il professor Davide Gibellini con il suo team
Il servizio di microbiologia dell'ospedale Policlinico di Borgo Roma. Nella foto il professor Davide Gibellini con il suo team
Il servizio di microbiologia dell'ospedale Policlinico di Borgo Roma. Nella foto il professor Davide Gibellini con il suo team

Un recente studio dell’Università di Verona evidenzia come nelle cellule bronchiali di soggetti affetti da fibrosi cistica, la replicazione di Sars-CoV2 sia significativamente ridotta, aprendo originali considerazioni nella comprensione dei meccanismi di infezione del Coronavirus e, in prospettiva, essere da base per lo sviluppo di nuove strategie farmacologiche.

I risultati dello studio, realizzato grazie al sostegno di Fondazione Cariverona (Progetto Enact) e con il contributo della Lega italiana fibrosi cistica onlus Veneto, sono stati recentemente pubblicati sulla rivista scientifica Cells. 

La fibrosi cistica rappresenta la malattia genetica grave più diffusa in Italia con oltre 200 nuovi casi all’anno, causata dalla mutazione del gene Cftr (Cystic fibrosis transmembrane regulator), che colpisce soprattutto l’apparato respiratorio e digerente.

In particolare, determina una produzione di muco molto denso che ostruisce i bronchi e porta a infezioni respiratorie ripetute, fino a una progressiva insufficienza respiratoria. Il particolare interessamento dell’apparato respiratorio, tipico della malattia, aveva fatto ipotizzare che i pazienti affetti potessero rappresentare un gruppo a più alto rischio di infezione da Sars-CoV2, circostanza che lo studio smentisce.

Del team di ricerca, guidato da Davide Gibellini, docente di Microbiologia e Microbiologia Clinica, nel dipartimento di Diagnostica e Sanità Pubblica, in collaborazione con Claudio Sorio, docente di Patologia generale, e Andrea Sbarbati, docente di Anatomia e Istologia, fanno parte Virginia Lotti, Anna Lagni, Andrea Di Clemente, Marco Ligozzi, Flavia Merigo e Paolo Bernardi, con il contributo scientifico di Ercole Concia, già docente di ateneo. Alla raccolta dei dati hanno contribuito anche ricercatori delle università di Bologna e di Chieti-Pescara. 

Il gruppo di ricerca dell’università di Verona ha studiato diversi modelli di cellule epiteliali bronchiali con e senza mutazioni del gene CFTR, individuando una significativa riduzione della replicazione del virus SARS-CoV-2 nelle cellule che presentavano CFTR mutato. «Il meccanismo alla base di questo fenomeno è ancora da chiarire nei suoi dettagli – spiegano i ricercatori – ma l’ipotesi attuale è che uno dei fattori determinanti possa risiedere nell’alterazione degli equilibri ionici e molecolari intracellulari, inducendo una significativa minore efficienza nella replicazione del virus». 

«L’importanza di questo studio – spiega Gibellini – riguarda la determinazione dell’efficienza dell’infezione da SARS-CoV-2 e i relativi meccanismi coinvolti, in modelli primari cellulari con e senza mutazioni del gene CFTR. Inoltre, la ricerca portata avanti dal nostro team fornisce la prima evidenza di come CFTR possa essere coinvolto nella regolazione della replicazione di SARS-CoV-2, suggerendo così nuovi spunti di approfondimento sia per definire l’entità del ruolo del gene CFTR nell’infezione, sia per lo sviluppo di nuove strategie farmacologiche per il controllo dell’infezione e della conseguente malattia».

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