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Lo studio

L'appello dei cardiologi italiani: «Cambio di rotta o si rischia l'impennata di malattie del cuore e dei decessi»

Cardiologia
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«Serve un cambio di rotta nell’assistenza cardiologica in Italia perché le conseguenze dirette e indirette della pandemia stanno peggiorando la salute dei cittadini. I ritardi nell’assistenza durante le varie ondate pandemiche rendono concreto il rischio di un’impennata di pazienti colpiti da malattie del cuore e di una regressione della mortalità cardiovascolare ai livelli di 20 anni fa».

A dirlo e a lanciare un vero e proprio allarme, è stata la Foce, Federazione degli oncologi, cardiologi e ematologi italiani. Il problema è infatti che all'epoca, ma anche durante la recente quarta ondata, moltissimi ospedali sono stati riconvertiti, molti posti letto nelle Cardiologie sono stati chiusi e adibiti alla cura di questi malati con la conseguenza che chi aveva un infarto, o chi sarebbe dovuto essere operato al cuore ha subito dei ritardi sia nei ricoveri, che negli interventi. Risultato: chi ha un problema di cuore, col Covid ha visto aumentare del 72 per cento la probabilità di sviluppare uno scompenso cardiaco e del 52 per cento quella di fare un ictus invalidante.

A livello veneto la questione è stata sollevata da più parti, ad esempio per gli ospedali di Villafranca e di Schiavonia. Entrambi questi centri, infatti, sono stati dichiarati «ospedali Covid provinciali» con la conseguente riconversione dei posti letto delle rispettive Cardiologie e con i ritardi nelle cure ai malati cardiopatici e non solo.

Uno studio pubblicato nei giorni scorsi su “Nature Medicine” e condotto su più di 150 mila pazienti guariti dal Covid-19 confrontati con oltre 5 milioni di controlli sani ha dimostrato che, dopo il contagio, «il rischio di patologie cardiovascolari aumenta significativamente anche in chi ha meno di 65 anni ed è senza fattori di rischio come obesità o diabete».

«Uno scenario», hanno sottolineato dalla Foce, «che impone non solo di recuperare quanto prima i ritardi accumulati garantendo le cure con la massima priorità e salvaguardando la rete dell’emergenza cardiologica, ma anche di investire più risorse in ricerca e prevenzione».

«Si sta delineando un quadro che rischia di annullare le importanti conquiste ottenute in oltre 20 anni», ha spiegato il professor Ciro Indolfi, vicepresidente della Foce e presidente della Società Italiana Cardiologia, «perchè le malattie del cuore interessano 7,5 milioni di persone in Italia. In 36 anni, dal 1980 al 2016, la mortalità totale per le malattie cardiovascolari si è più che dimezzata e il contributo delle nuove terapie è stato quello che più ha influito su questa tendenza. Ma la pandemia sta annullando tutti questi progressi».

Il ridimensionamento dell’assistenza è stato evidenziato da una recente indagine condotta dalla Società Italiana di Cardiologia in 45 ospedali distribuiti sul territorio nazionale in due diverse fasi, a novembre e dicembre 2021, e a gennaio 2022: il 68% dei centri ha ridotto i ricoveri elettivi, cioè i programmati, dei pazienti cardiopatici, il 50% ha diminuito l’offerta degli esami diagnostici e il 45% ha tagliato le visite ambulatoriali. Il 22% ha dovuto addirittura ridurre i posti letto in terapia intensiva cardiologica, mentre il 18% degli ospedali ha diminuito il personale medico in Utic e il 13% quello infermieristico.

Conclusione: «durante la prima ondata della pandemia, nella primavera del 2020, i ricoveri ospedalieri di emergenza per infarti e ictus si sono dimezzati: molte persone sono morte a casa o sono sopravvissute con danni gravi al cuore o al cervello, perché gli eventi cardiovascolari gravi sono tempo-dipendenti. Sono diminuite le angioplastiche coronariche, le procedure per l’impianto di pacemaker e defibrillatori, le ablazioni, sono stati ridotti gli elettrocardiogrammi, le ecocardiografie e i test da sforzo.

I pazienti cardiopatici non hanno insomma trovato più un’assistenza adeguata alla prevenzione e al trattamento delle loro patologie», ha chiuso Indolfi. Insomma: la Regioni dovranno tenere in considerazione anche questi dati nella programmazione dei posti letto e nelle dotazioni ospedaliere visto che, nel prossimo autunno, tutti gli più esperti stanno prevedendo una possibile ondata di Coronarivirus per il quale, al momento, non c'è una terapia risolutiva e l'unica arma efficace sembrano al momento i vaccini. 

Gerardo Musuraca

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