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All'ospedale San Bortolo

I chirurghi vicentini guariscono dall'epilessia un bimbo di due anni

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Sala operatoria al San Bortolo di Vicenza
Sala operatoria al San Bortolo di Vicenza
Sala operatoria al San Bortolo di Vicenza
Sala operatoria al San Bortolo di Vicenza

Due anni e mezzo. Si chiama Leo. Come Leonardo. Abita in provincia di Venezia. Ha una epilessia che gli squassa con scosse violentissime il corpo e la mente. Una displasia della corteccia cerebrale. Un errore di crescita. I neuroni non migrano correttamente. C’è disordine nel cervello. Tutti i farmaci sperimentati, anche i più potenti, una marea, si rivelano inutili. I genitori sono disperati. I medici non possono fare altro che alzare le mani. Chiedono aiuto al dottor Lorenzo Volpin. Il primario di neurochirurgia del San Bortolo, sempre mantenendo il basso profilo, da anni effettua in sala operatoria interventi che spesso altri chirurghi, in ospedali di grido, non riescono neppure ad immaginare.

E Volpin anche questa volta compie l’impresa. La prima del genere. Ed è un’impresa davvero straordinaria. La chirurgia dell’epilessia è materia rara, d’élite. Anche perché complicata e poco conosciuta. Terreno minato. Quasi nessuno è disposto a cimentarsi in un viaggio così pericoloso all’interno del cervello. Si fa in pochi centri. In Italia solo a Milano. Al Niguarda. Volpin, talento e raziocinio, studio meticoloso del caso clinico e concentrazione assoluta, competenza ed idee chiare, non si ferma. C’è una via per salvare Leo. Lui la trova. E ora il bambino non ha più episodi epilettici. Basta convulsioni. È tornato a vivere. Nel suo letto in pediatria sorride. È la prima volta. E gioca come tutti i bambini di questo mondo.

 

È stato Paolo Bonanni direttore dell’istituto Medea di Conegliano, uno dei centri leader a livello nazionale per lo studio dell’epilessia, vale a dire lo specialista che fa parte del board multidisciplinare creato a Vicenza per trattare con la chirurgia i casi più difficili di epilessia, quelli che resistono a qualsiasi terapia farmacologica, a segnalare il piccolo a Volpin. Il bambino non viveva quasi più. Ha decine di crisi al giorno. Senza tregua. I genitori ne contano anche 30. Spasmi violenti, che durano lunghissimi minuti, qualche volta fino a mezz’ora, lo annientano, ne paralizzano lo sviluppo fisico, motorio, cognitivo, psichico. Leo alza il braccio, scuote la testa, si irrigidisce, cade per terra. Un sisma perpetuo. Non riesce a parlare, a giocare, a fare qualsiasi cosa. È allo stremo. Senza più futuro. Bonanni lo ha visto peggiorare senza che si possa trovare una soluzione. Un caso estremo.

Come ultima chance, si rivolge in modo accorato al primario del San Bortolo: «C’è questo bambino che presenta delle anomalie sul lobo frontale sinistro. Lo puoi vedere ?». Il dottor Volpin è abituato a fare miracoli chirurgici all’interno di quell’organo complesso, delicato, disseminato di insidie, che è il cervello, purché esista una sola possibilità di trovare un varco fra arterie aggrovigliate e centri nervosi vitali. Così anche questa volta va a fondo del problema. Guarda risonanze ed esami e decide. «Il bambino è molto piccolo ma si può fare». E la decisione – spiega il primario - è di asportare il lobo frontale, la parte sinistra anteriore del cervello rea di scatenare la furiosa epilessia. «Se la struttura è malata l’unico rimedio è toglierla. A quell’età il cervello è così plastico che una funzione può essere svolta da un’altra area cerebrale. Il tessuto giovane si plasma». Un intervento molto difficile. C’era da capire, in un sentiero stretto e tortuoso, dove passare con il bisturi, quali vasi non toccare, la traccia da seguire. L’intervento è a regola d’arte. Il circuito epilettico si interrompe. Leo ora può crescere bene. Come risorto. E al San Bortolo si apre una nuova storia chirurgica.

Franco Pepe

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