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GIOVANNI MOTTA

Con Jonny Boy faccio vivere il mio bambino interiore

Giovanni Motta
Giovanni Motta
Giovanni Motta
Giovanni Motta

Una mostra personale a Shanghai nella primavera 2021, una seconda personale a Bogotà, in Colombia, sempre l’anno prossimo. Nel 2020 il suo lavoro è sbocciato e si sta aprendo al mondo. Così Giovanni Motta, 49enne artista veronese, si prepara a volare insieme al suo Jonny Boy. «Ho passato un’infanzia fantastica, intensissima, e forse per questo oggi mi manca così tanto». Motta è un creatore di mostri e di bambini, un cantastorie che si muove districandosi nel mondo degli adulti, nel mondo della realtà, difendendosi con la sola arma in grado di proteggere l’essenza di ogni essere umano: l’impegno a difendere e nutrire il proprio bambino interiore. «Indago la natura prodigiosa dell’esistenza, e quella particolare energia che nell’età adulta sembra opacizzarsi e depotenziarsi drasticamente, ma che è, invece, vivida e pulsante durante i periodi dell’infanzia e dell’adolescenza».

Quando si è reso conto che l’arte sarebbe stata la sua strada?

A nove anni ho vinto un concorso mondiale indetto dalla Fao: numero uno, il podio più alto. Ero dotato di un talento naturale nel disegno. Ma quella mia piccola opera è finita subito nel dimenticatoio. Poco dopo il concorso, per tutta l’estate disegnai fumetti su alcuni quaderni a fogli bianchi, e poi con un amico ce li scambiavamo e li interpretavamo, come fossero stati spettacoli di teatro. Venticinque quaderni riempiti di fumetti, ispirati ai cartoni animati di allora, gli anime giapponesi, che per me erano la vita stessa. I quaderni finirono in una scatola di cartone, e un giorno non li ho più trovati: me li avevano buttati via. Ho capito solo anni dopo che a partire da quel momento ero stato programmato all’invisibilità. Fu un evento drammatico che però, ho scoperto negli anni, rispecchia un’intera generazione. Noi, ragazzini negli anni ’80, siamo figli di quell’epoca in cui si camminava scalzi tra sigarette e siringhe, lungo l’Adige, e fare l’artistico era «roba da drogati». E così sono finito a ragioneria.

Sarà per questo che è andato a guardare indietro, nel suo passato?

Ho ricevuto ripetute pugnalate al cuore, e il disperato tentativo di tornare al mondo dell’infanzia e di recuperare le sensazioni che provavo guardando i cartoni animati o giocando, lo vedo oggi come l’unico modo che ho avuto per non ammalarmi. Se non fossi tornato indietro a riprogrammarmi, mi sarebbe mancato qualcosa di essenziale. La mia ricerca artistica mi è stata regalata da madre Natura per salvarmi, e infatti considero l’arte un’autentica salvezza.

In passato si è dedicato anche alla creazione di mostri. Cosa sono stati per lei?

I mostri sono ricordi. Tutto il mio mondo circola sul recupero di stati emotivi perduti, il desiderio insanabile, permeato di malinconia, di riviverli ancora. Noi adulti spesso accusiamo i bambini di mentire, ma quando torniamo indietro con la memoria non riusciamo a ricordare bene come sono andate le cose, e deformiamo la realtà a seconda dello stato d’animo. Ma c’è qualcosa su cui non si può mentire: le emozioni che avevamo provato. Come faccio a recuperarle? Attraverso diverse tecniche di meditazione.

Ma come realizza le sue opere?

Parto dalla modellazione della creta, faccio schizzi e disegni, e poi arrivo alla stampa 3D. Io immagino un soggetto, schiaccio un bottone, e quella cosa compare. Esattamente come succedeva nei cartoni animati dei robot: quando partivano per lo spazio i miei eroi azionavano un pulsante e si materializzava l’arma per combattere i nemici. La stampa 3D ti rende possibile ogni volta questo piccolo miracolo.

La mostra a Lugano, appena terminata, si intitola Thanks. Lì il protagonista è Jonny Boy. Siamo di fronte a un alter ego?

Thanks è il mio ringraziamento agli anime giapponesi e ai cartoni animati in generale. È un progetto che ti permette di fare un viaggio temporale dentro te stesso. Sculture e dipinti raffigurano Jonny Boy, come se si trattasse di un personaggio di un cartone animato, il cartone della mia vita. Jonny è la metafora del bambino interiore di chiunque e può compiere azioni di qualsiasi tipo: giocare, ballare, urlare, disperarsi, gioire, tuffarsi nel mare profondo. E volare nello spazio, nel cielo, come un uccello. I suoi poteri non hanno confini. Nella sua espressione ho cercato di racchiudere tre stati d’animo, e ognuno può vedere ciò che desidera: puoi trovare uno stato d’animo positivo, che è la meraviglia, uno negativo, ossia la paura, e uno neutro, lo stupore. Quando ti confronti con l’opera, essa rispecchierà quello che tu stai provando.

Un lavoro, quindi, che è stato anche nostalgico.

Nel mondo dell’arte la nostalgia è pericolosa, ma per me è bellissima: è il più forte sentimento legato a un amore lontano al quale puoi tornare. Io mi reputo un artista malinconico che vive di continui viaggi nel tempo per recuperare informazioni, dettagli, sfumature, colori, per poi portarli nell’opera fisica. Stati d’animo spesso anche contrastanti, come mi sta accadendo in questo periodo.

Come era Giovanni Motta bambino? E come è oggi?

Quando ero bambino volevo sempre vincere, e nella sconfitta provavo una grande umiliazione, addirittura una specie di dolore fisico. Oggi mi sento combattuto, e forse questo stato mentale mi accompagnerà per tutta la vita: da una parte vorrei essere uno degli artisti più famosi, ricercati e amati della Terra, con le mie opere esposte ovunque. Dall’altra amo la solitudine, la quotidianità, il susseguirsi di gesti che si ripetono e che mi permettono di mantenere un contatto con la realtà. Insomma, desidero fare della mia giornata una metafora della vita.

E adesso? Con quale spirito affronta le sfide che la aspettano, e soprattutto la sua attività artistica nel mondo?

Durante i mesi di lockdown sono iniziate collaborazioni con gallerie in diversi Paesi, e questa opportunità è uno stimolo straordinario. Per un contemplativo e riflessivo come me un periodo come quello che abbiamo vissuto è stato l’occasione per trovare un tempo prezioso, che ho usato per andare a toccare e sfiorare delle informazioni che altrimenti avrei perduto. Nel frattempo sulla piattaforma Instagram il mio profilo @mottagiovanni si è trasformata in una community molto attiva, fatta di appassionati e curiosi che vogliono capire la mia ricerca. E io adoro interagire con loro, organizzare eventi. A volte è capitato anche di vedersi direttamente. La nuova apertura che si sta prospettando, avvenuta in larga parte attraverso i social, mi ha portato ad ampliare il mio laboratorio e a lavorare con continuità sui miei progetti. Con Jonny sempre al mio fianco.

Silvia Allegri

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