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FESTIVAL DEL FUTURO

Start-up, così si cambia marcia

I cammelli sono fatti per sopravvivere in alcuni dei climi più difficili della terra, senza cibo e senza acqua. Dall’altra parte, ci sono i mitici unicorni, che nel mondo degli affari sono concentrati su una rapida crescita grazie a importanti finanziamenti e all’accesso a un bacino di talenti.

 

«Una crisi come quella attuale è il momento giusto per un comportamento da cammelli, che mantengono un atteggiamento cauto e saggio», ammette Uri Adoni, business angel e venture capitalist, che aggiunge: «Questa crisi economica dovuta alla pandemia può sembrare impegnativa e terrificante, ma il contesto attuale può essere un momento adatto per i giovani imprenditori che vogliono scatenare i loro sogni». Tutto vero. Ma bisogna fare i conti con un ecosistema che, in Italia, non è dei più facili. Non lo era nemmeno prima del Covid. Nel Paese si contano 11.500 startup innovative. È vero che da non molto in Italia si dà attenzione a questa nuova imprenditorialità, e che oggi esistono grandi banche, aziende e istituti pubblici che supportano le nuove imprese. Ma siamo lontani da una parvenza di massa critica.

 

DISEGNARE IL NUOVO MONDO. È questo il tema con cui, dopo il successo del 2019, il Festival del Futuro si ripresenta quest’anno dal 19 al 21 novembre, sempre negli spazi della Fiera di Verona. Ma i lavori di questa seconda edizione, in osservanza delle misure anti Covid, si svolgeranno tutti a porte chiuse. Ogni sessione potrà essere seguita in streaming secondo orari che verranno comunicati nei prossimi giorni.

 

«Per quanto ancora limitate e insoddisfacenti», spiega Enrico Sassoon, direttore responsabile di Harvard Business Review Italia, «le prospettive di una start-up in Italia sono in discreto miglioramento. La possibilità di cambiare marcia e dare un nuovo impulso c’è e molti giovani guardano al futuro attraverso la lente potenziale di una start-up. Manca però, in misura cruciale, il supporto di un ecosistema adeguato. Non occorre confrontarsi necessariamente con il gigante americano, anche Paesi molto più piccoli del nostro possono rappresentare una guida efficace all’azione. L’esempio forse più rilevante di tutti è quello di Israele, nota nel mondo come la Start-up Nation». Dall’altra parte conta il modo con cui gli startupper cercano di farsi spazio con le loro idee.

 

E, su questo tema, ci sono posizioni differenti. «Molti imprenditori temono che sperimentazioni e indagini possano ritardare la fase di commercializzazione, perciò adottano la prima strategia pratica che gli viene in mente con gravi rischi di fallire», spiega Joshua Gans, professore di Technical Innovation alla University of Toronto, autore della «bussola della strategia imprenditoriale» che delinea quattro strategie generiche di accesso al mercato che andrebbero prese in considerazione nel passaggio dall’idea alla fase di lancio.

 

Opposta la posizione di Carl Schramm, professore di Innovazione alla Syracuse University: «Gli imprenditori possono solo imparare facendo. Anziché analizzare dati pregressi ne creano di nuovi e sulla base di ciò che scoprono sviluppano progressivamente una conoscenza individualizzata del mondo. È l’approccio adottato da una delle aziende di maggior successo del mondo, Apple». Dalle teorie alla pratica, c’è l’esperienza di Ignazio Rocco, fondatore e Ceo di Credimi, il più grande digital lender per le imprese in Europa Continentale: «Penso che l’elemento più importante di tutti sia di avere un prodotto che risolve davvero un problema in una maniera cento volte migliore di ciò che esiste già».

Francesca Lorandi