<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
intervista a Marco Bentivogli

«L'unico vero riscatto è il lavoro dignitoso»

Marco Bentivogli, coordinatore Base Italia ed ex leader Fim Cisl
Marco Bentivogli, coordinatore Base Italia ed ex leader Fim Cisl
Marco Bentivogli, coordinatore Base Italia ed ex leader Fim Cisl
Marco Bentivogli, coordinatore Base Italia ed ex leader Fim Cisl

«Il lavoro che ci salverà». Nel suo ultimo libro Marco Bentivogli, coordinatore e cofondatore di Base Italia, già segretario generale della Fim Cisl, punta i riflettori sulla necessità di un sistema che non si basi sull’assistenzialismo, ma guardi piuttosto all’occupazione come elemento di crescita individuale.

Bentivogli, prima di parlare del lavoro e delle nuove generazioni è d’obbligo un focus sulla drammatica attualità delle ultime ore. Due operai bresciani sono morti congelati in un deposito di azoto liquido nel Milanese. Quale risposta per l’emergenza morti bianche?
«Dal punto di vista normativo l’Italia è uno dei Paesi più avanzati al mondo; sia per le leggi, sia per le esperienze contrattuali e gli accordi aziendali che sono di altissimo livello, e hanno ridotto gli infortuni e le morti. Il tema vero non è introdurre nuove leggi, ma diffondere una cultura vera della sicurezza a partire dalle scuole, dalla formazione. Ed è necessario spiegare agli imprenditori che ragionano in modo cinico di questi temi che l’insicurezza costa molto di più. Se non sono sensibili all’aspetto etico, almeno lo saranno a quello economico».

Per quale motivo, citando il titolo del suo ultimo libro, il lavoro ci salverà?
«Dopo la pandemia notiamo un disorientamento nelle nuove generazioni a cui vengono proposti sussidi e sostegni. Sussidi che devono certamente esistere per sostenere chi è rimasto indietro, perché nessuno deve essere lasciato solo. Ma che, allo stesso tempo, non possono essere il fulcro. Il vero riscatto, che dà accesso alla cittadinanza piena, è il lavoro. Citando il Papa, un lavoro dignitoso, che fa crescere le persone, che dà un significato, oltre ad una risposta in termini di produttività».

Meno sussidi e più lavoro, dunque. In questa sua filosofia come si inquadra il dibattito sulla necessità di un salario minimo garantito per arginare i sempre più diffusi fenomeni di sfruttamento?
«Più che un salario minimo, ho introdotto la proposta di una soglia minima di decenza. Il giusto salario è da sempre delineato dai contratti collettivi nazionali e la copertura sul minimo è tra le più forti d’Europa. Ma nei settori che impiegano lavoratori non coperti dai contratti collettivi un’impresa che paga il lavoratore meno di 5-6 euro netti deve chiudere, e poter riaprire solo ad alcune condizioni».

Parliamo di giovani e lavoro: ma non possiamo negare che tutte le riforme degli ultimi anni hanno introdotto solo maggiore difficoltà e la precarizzazione per le nuove generazioni...
«Negli ultimi 11 anni abbiamo assistito ad 8 riforme del mercato del lavoro. Penso che la strada giusta sia occuparsi sì di produttività ma soprattutto di competenze e formazione».

L’economia inizia a dare segnali positivi. Ci sono le condizioni in Italia perché le nuove generazioni vengano a tutti gli effetti inserite nel mondo del lavoro?
«Don Tonino Bello diceva che la speranza non è una somma di desideri messi nel cassetto, è un esercizio di volontà. Per guidare il cambiamento bisogna volerlo. Il tema vero è che oggi la situazione è sempre più sfidante, il cambiamento non è solo profondo ma veloce, e con la pandemia l’accelerazione è ancora più marcata. Noi abbiamo un’industria che già nel 2018 con industria 4.0 aveva iniziato ad innovare e poi ha rallentato. Viviamo una trasformazione del lavoro rapida, penso alle sfide della digitalizzazione. In Italia ci piace sollecitare il consenso, come dimostra l’esempio del dibattito sullo smartworking nella pubblica amministrazione, anziché seguire i grandi cambiamenti. La digitalizzazione scongela due elementi: lo spazio e il tempo che da sempre sono stati fissi. A questo punto servono architetti che sappiano mettere insieme i grandi sistemi di organizzazione del lavoro con la responsabilità e l’autonomia».•.

Natalia Danesi