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«Dogali» di Carena. Morti censurati perché poco eroici

ARTE. Una mostra all'Istituto veneto riscopre un autore finito in ombra. La grande antologica del pittore in corso a Venezia espone anche il quadro contestato nel 1936 L'autore lo fece a pezzi dopo le critiche del fascismo
Lo specchio (particolare), 1928, simbolo della mostra di Felice Carena
Lo specchio (particolare), 1928, simbolo della mostra di Felice Carena
Lo specchio (particolare), 1928, simbolo della mostra di Felice Carena
Lo specchio (particolare), 1928, simbolo della mostra di Felice Carena

Nelle vite di certi pittori del secolo scorso ci sono tratti comuni. Pio Semeghini e Felice Carena. Praticamente coetanei (Semeghini nasce nel 1878, Carena nel 1879); entrambi di famiglia borghese, entrambi si formano in Europa. Anche se su posizioni politiche opposte (governativo Carena, spesso sotto sorveglianza della polizia politica Semeghini) trovano nel ventennio fascista il momento più famoso della loro ricerca. Entrambi, poi, cambiano vita e residenza: Semeghini a Verona nel 1942; Carena a Venezia nel 1945. Infine, Semeghini si spegne nel 1964, Carena nel 1966.
A Felice Carena, l'Istituto veneto di scienze lettere ed arti, la Regione Veneto e Arthemisia dedicano un'antologica a Venezia (Campo Santo Stefano, Ponte dell'Accademia) curata da Virginia Baradel. Una quadreria ideale della ricerca di questo raffinato interprete delle differenti forme che la ricerca pittorica europea visitò, per recuperare il silenzio di oltre 15 anni. È dal 1996, dopo la mostra di Torino, che non si parla di Carena. Un silenzio che lo accomuna a Semeghini, cui Carena così scriveva il 7 gennaio 1964: «Consoliamoci, amico caro, noi abbiamo vissuto certo una non facile vita — e tu con tanta purezza e amore per l'arte — consoliamoci — la nostra giornata è ormai alla sua logica fine. Io attendo sereno — come certo tu farai — Lavoro e con sempre maggiore amore…e sempre con uguali fatali delusioni…»
Carena nasce a Cumiana presso Pinerolo il 13 agosto 1879. Dopo l'Accademia Albertina di Torino, nel 1906 si trasferisce a Roma e inizia viaggi e soggiorni europei (Parigi, Basilea, Monaco). Il successo lo raggiunge alla decima Biennale veneziana del 1912 (confuso con ottocentisti e ritardatari). Accademico d'Italia, fra i promotori della Quadriennale di Roma, fu uno dei più glorificati pittori del ventennio fascista: il tutto gli valse poi l'oblio (relativo, visto che partecipò alle Biennali veneziane del 1950, 1954, 1956), ma continuò a dipingere, rinnovandosi e dedicandosi spesso a soggetti sacri, quali la pala d'altare nella chiesa di San Rocco e la [FIRMA]Deposizione per la chiesa dei Carmini in Venezia. Si spense il 10 giugno 1966.
Una quadreria ideale, dunque (accompagnata dal catalogo Marsilio, curato da Virginia Baradel) in cui le 84 opere sono disposte in ordine cronologico, suddivise per sezioni. La prima è dedicata alla formazione accademica, estetizzante e crepuscolare, ma già senti i maestri a cui guarda: Grosso, Bistolfi, Segantini, soprattutto Franz von Stuck. Esempi: I viandanti (1907), La perla (1908), La madre e Ritratto della baronessa Ferrero del 1910.
Nella seconda sezione il frutto dei viaggi e dell'incontro con la pittura francese di Derain, Gauguin, Cézanne e del soggiorno ad Anticoli Corrado. Quadri prosciugati, quasi severi, intriganti, come Ritratto d'un sacerdote (1913), La guardiana dei porci (1916), Bambina alla porta e Corsa nei sacchi del 1919. Oppure Gualfarda e Natura morta del 1914, dove avverti la lezione di Mario Cavaglieri. La guerra e il richiamo all'ordine della rivista Valori plastici segnano la terza sezione con evidente ritorno a forme di classicismo: Quiete (1922-1924), Apostoli (1923).
La quarta sezione mostra i successi di un Carena premiato in tutte le rassegne ufficiali: dalla grande tela La scuola (1928) a Lo specchio (1928), quadro guida della mostra. La quinta sezione è dedicata alle tele degli anni Trenta, più personali, più genuine: Ritratto di giovinetta (1930), Figura in maschera (1932), Teatro popolare (1933), e Dogali (1936): quest'opera, anche se concessione alla retorica di regime, suscitò polemiche alla Biennale del 1936 perché i morti erano struggenti e non eroici; fu fatta a pezzi dallo stesso artista, lasciando però intatto il nucleo centrale che è stato ritrovato solo recentemente, dopo un'accurata ricerca, e quindi mai esposto prima d'ora. Molto più belle tele quali Bagnanti (1938) o Uomo che dorme (1938) e la straordinaria Deposizione del 1940 (donata da Giorgio Cini a Paolo VI, ed eccezionalmente prestata per questa mostra).
È Delacroix il riferimento di alcune tele della quinta sezione: Fuga in Egitto, Angelo lotta con Giacobbe, Tobia e l'angelo. Nell'ultima sezione le opere della vecchiaia, quali Passaggio del Mar Rosso, Bagnanti, Autoritratto, Nudo di donna, Giuditta ed Oloferne: la pittura si è liberata di ogni scoria ed è carica di emozioni, nei ritratti, nelle nature morte, nelle riprese di temi precedentemente trattati come Teatro popolare del 1952 e Pietà del 1955 e un'altra, ancora più drammatica del 1962. Si capisce perché Carena nel 1964 scrivesse a Semeghini della sua delusione. Si riferiva a quanto non capivano di lui critica e pubblico, persi per altre strade. La mostra si chiuderà il 18 luglio. Merita una visita: vi emozionerà.

Francesco Butturini

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