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Il 13 dicembre 1995 al Catullo

La tragedia dell'Antonov, quando un'esplosione squarciò il buio nel giorno di Santa Lucia

A bordo c’erano 41 passeggeri e otto membri dell’equipaggio diretti a Bucarest o a Timisoara. Morirono tutti. A decenni di distanza molti familiari attendono ancora il risarcimento
I soccorritori davanti all'aereo in fiamme
I soccorritori davanti all'aereo in fiamme
I soccorritori davanti all'aereo in fiamme
I soccorritori davanti all'aereo in fiamme

Era la sera di Santa Lucia. Una Santa Lucia resa ancora più suggestiva dalla neve: tanta quella che da giorni cadeva a Villafranca e che ormai copriva ogni cosa. E c’era buio: l’ora di cena era ormai finita e tutti se ne stavano in casa. All’improvviso una fiammata, poi un’esplosione squarciarono la notte.

Un Antonov, decollato dal Catullo e rimasto in volo solo 55 secondi, era precipitato nei campi a ridosso dell’aeroporto, in mezzo ai peschi. Sembrava l’apocalisse. Non si salvò nessuno. Era il 13 dicembre del 1995, ore 19.58.

 

 

Il pilota, la giovane hostess e quei 250mila lire risparmiati

A bordo c’erano 41 passeggeri e otto membri dell’equipaggio diretti a Bucarest o a Timisoara, secondo scalo della rotta prevista. 49 persone. Non si salvò nessuno.

Il pilota, Vasile Dan Mircea, 38 anni, era diventato professionista il 19 ottobre 1989. Un mese dopo il disastro, cioè il 13 gennaio 1996, avrebbe dovuto essere sottoposto a visita medica di controllo. Nella sua carriera aveva maturato tremilaseicentoquarantacinque ore di volo, delle quali duemilatrecentoquarantacinque proprio sull’Antonov.

Il suo vice, Ivan Marin, aveva 52 anni ed era diventato pilota professionista nel 1975. Era un istruttore per i giovani che si avviavano alla professione e li addestrava sugli Antonov 24. In totale aveva volato per settemilacento ore, con una grande esperienza maturata sull’aereo caduto.

Alina Socol, hostess, era invece la più giovane dell’equipaggio. Aveva ventuno anni ed era stata abilitata all’assistenza in volo il 14 aprile 1995, solo otto mesi prima del disastro.

Prima del decollo il pilota aveva rifiutato l’operazione per rimuovere il ghiaccio dalle ali a differenza del collega dell’Air France, che si trovava sulla stessa pista di decollo e che aveva sottoposto il suo jet al trattamento. Rifiutò per non pagare 250mila lire del servizio. Ma c’era anche un altro problema: il velivolo era sovraccarico e il peso era mal distribuito. Tuttavia alle 19,53 la torre di controllo diede il via libera al decollo e un minuto dopo l’Antonov si levò in volo. Ci rimase solo 55 secondi, Vasile Dan Mircea riuscì solo a virare. Poi l’aereo precipitò.

 

Le vittime e quel sogno di prosperità

Franco Cammelli, Romano Gazzini, Stefania Modesti e Giuseppe Piona erano i veronesi a bordo. C’erano anche tre bresciani, Alberto Ramera, Giovanni Bariani e Giovanni Beltini e un paio di vicentini, Franco Mortillaro e Aurica Bagnara. E poi c’erano altri italiani, un olandese, cittadini serbi e romeni. Tutti partiti carichi di speranze, spinti a quel volo da un sogno di prosperità. Perché quella era una rotta particolarmente utile che consentiva a imprenditori bresciani, veronesi, liguri, toscani e campani che facevano affari in Romania di andare e tornare in 24 ore.

Nel 1995 in molti stavano iniziando a prendere in considerazione i mercati dell’Est oltre alla possibilità di trasferire parte della produzione in Paesi dove il costo della manodopera era concorrenziale. Quella linea favoriva chi in Romania ci andava per lavoro.

Il veronese Giuseppe Piona, 43 anni, era titolare della «Business Jet» cioè l’agenzia che curava in Italia la vendita dei biglietti. Quella sera era salito a bordo per incontrare i vertici della compagnia e negoziare un potenziamento dei collegamenti. Lo accompagnava la sua assistente, Stefania Modesti, 27 anni, fidanzata di Francesco Zerbinati, promotore e presidente del Comitato dei familiari delle vittime costituito poco dopo. Zerbinati riconobbe il corpo della ragazza dalla cintura e da un accendino che le aveva regalato proprio prima della partenza.

 

 

La via crucis dei risarcimenti

Mentre la giustizia penale è stata relativamente veloce, quella civile anche in questo caso, nonostante la gravità dell’incidente, ha segnato il passo lento che rappresenta la nota dolente del nostro sistema giudiziario.

Il primo luglio del 1997 era iniziato il processo: in tribunale si presentarono anche numerosi familiari delle vittime dello schianto chiedendo «una condanna giusta». Nelle udienze successive venne ricostruita la tragedia ascoltando, anche, i nastri delle conversazioni tra piloti e torre di controllo. Nel 2022 si arrivò alla condanna del direttore del Catullo, Canfarelli, del direttore della società di gestione, Realdi, dell’addetto al centraggio, Albieri e dell’addetto all’ufficio traffico aereo, Rossato.

 

 

Il processo civile, durato molti anni davanti al tribunale di Verona, fu sospeso nel 2005 perché il giudice si dichiarò incompetente e l’incartamento venne trasferito a Venezia, dove il processo iniziò nel 2007. Il tribunale lagunare condannò a risarcire il ministero dei Trasporti, l’aeroporto Catullo, Banat Air Service srl (la compagnia che aveva noleggiato il velivolo), Compania Romana de Aviate Romavia Sa (proprietaria del velivolo) e l’agenzia Giubitur. Complessivamente alle famiglie delle 23 vittime si stabilì che dovevano essere liquidati 2 milioni e 300 mila euro, circa 100 mila a testa oltre alle spese legali. Le altre 26 vittime avevano transato in passato, onde evitare le lungaggini di un processo che, prima di arrivare alla sentenza di primo grado, aveva subito numerosi stop.

 

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La beffa

Ma nel 2016 a mettere sale su una ferita mai rimarginata arrivò la decisione della corte d’appello civile di Venezia che obbligava i parenti a restituire ventimila dei cinquantamila euro, pagati dal Ministero delle infrastrutture come risarcimento del danno.

Una sentenza che venne annullata solo nell’aprile scorso: da allora una sezione della Corte d’appello, in diversa composizione rispetto a quella del 2016, sta riconteggiando il risarcimento danni nei confronti dei cinque ricorrenti. E così a distanza di ventisette anni dalla tragedia, ci sarà l’ennesimo processo per definire l’entità del danno subito dai parenti delle due vittime di quell’evento che ha contrassegnato la storia della città.

Francesca Lorandi

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