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A Peschiera

Aveva ingerito un amo, cigno operato e salvato

Il cigno con il collo   deformato appena raccolto dai soccorritori
Il cigno con il collo deformato appena raccolto dai soccorritori
Il cigno con il collo   deformato appena raccolto dai soccorritori
Il cigno con il collo deformato appena raccolto dai soccorritori

 Il sinuoso collo ingrossato e deformato a causa di un amo e del filo incastrati tra l’esofago e la trachea, che hanno fatto da tappo impedendogli di nutrirsi e respirare bene: è stato trovato così, nel tardo pomeriggio di sabato a Peschiera del Garda, il cigno salvato grazie all’intervento di alcuni passanti e alle cure dei volontari del Centro di recupero fauna selvatica (Cras) di Lazise, legato alla clinica veterinaria «Verona Lago».

Probabilmente si tratta dello stesso cigno avvistato a Pasquetta proprio a Lazise, nel porto vecchio, per cui gli agenti della polizia locale avevano chiesto aiuto alle diverse forze dispiegate in quel fine settimana festivo per monitorare la costa veronese del Garda. Vigili del fuoco e Protezione civile avevano provato a raggiungerlo in gommone, lo avevano seguito con un drone e poi di nuovo avvicinato con un aereo anfibio, ma non c’era stato modo di soccorrerlo. È andata diversamente sabato, quando è stato avvistato da Alberto Bardini, avvocato residente a Peschiera, dalla sua ragazza e da alcuni passanti.

All’arrivo al Cras, riferisce la veterinaria Giulia Bettoni, il cigno era in uno stato di shock ipotensivo, disidratato e fortemente deperito. Dopo averlo stabilizzato e addormentato, si è cercato di estrarre il corpo estraneo entrando dal cavo orale, ma «la quantità esorbitante di cibo ferma a metà esofago era tale che è stato necessario intervenire chirurgicamente per trovare la causa dell’intoppo», spiega la dottoressa Bettoni. «Sulla parete ventrale dell’esofago», prosegue, «c’era un filo che si estendeva fino all’entrata del torace e teneva ancorato tutto il cibo». L’operazione più delicata è stata estrarre l’ amo, che si trovava all’interno della trachea. «È andato tutto bene e il cigno si è ripreso dall’anestesia», prosegue la veterinaria, «ora è sotto cura antibiotica e antinfiammatoria e starà in osservazione fino a quando la sua forma fisica non permetterà di liberarlo». Dopo un’uscita in barca, sabato intorno alle 17 Alberto Bardini stava camminando sul lungolago Mazzini. «A una ventina di metri dalla riva io e la mia ragazza abbiamo visto il cigno con un vistoso rigonfiamento sul collo», racconta, «sono sceso sulla riva, tra gli scogli, e il cigno si è avvicinato: ho provato a prenderlo, a fargli capire che volevamo aiutarlo, ma dopo un po’ si è allontanato. Continuava a bere acqua, come per far scorrere ciò che gli creava impedimento». Dopo una lunga attesa, il cigno torna a riva. «Si è infilato in uno dei tubi in cemento che entrano nel lago, un tempo usati per l’irrigazione. Secondo me voleva nascondersi, come fanno gli animali, per morire. Sono sceso di nuovo e mentre mi guardava ho avuto la netta sensazione che stesse chiedendo aiuto», riprende Bardini, «l’ho preso in braccio e l’ho portato su». Le persone presenti chiamano le forze dell’ordine, che però non possono fare nulla. Poi per il cigno si accende la speranza: qualcuno conosce il Cras di Lazise, una signora si offre di accompagnarli.

L’appello è al senso civico: chi ha salvato il cigno ne ha dimostrato molto, non altrettanto chi, dopo essersi dedicato al proprio hobby, abbandona nell’ambiente materiali da pesca. Caso purtroppo non sporadico: «Lo scorso anno abbiamo avuto diversi accessi di gabbiani e anatidi con lenze attorcigliate attorno agli arti, galleggianti inghiottiti oppure ami infilzati nel becco», spiega Carlotta, volontaria dell’associazione «Progetto Natura Verona Lago Odv» che sostiene l’attività del Cras di Lazise. Nata a febbraio dello scorso anno, l’associazione conta 32 volontari attivi, a cui hanno espresso la volontà di unirsi anche Bardini e la sua ragazza mettendo a disposizione i propri mezzi nautici (moto d’acqua e motoscafo) per fare una sorta di pronto intervento in acqua. Oltre ad occuparsi della cura degli animali e degli spazi dove sono accolti, l’associazione promuove la raccolta fondi per sostenere le attività del centro, in continuo incremento: basti pensare che tra gennaio e febbraio del 2020 gli arrivi al Cras sono stati circa 80, a fronte dei 220 registrati nello stesso periodo di quest’anno. Per informazioni: www.progettonaturaveronalago.it.

Katia Ferraro

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