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legislazione

La Cassazione, con sentenza n. 25287 del 24.08.2022, conferma la legalità dei controlli difensivi sui dipendenti nel caso di commissione di atti illeciti del lavoratore

By Athesis Studio

Analisi della sentenza della Corte di Cassazione

L’ordinanza della Cassazione Civile, Sezione Lavoro (data udienza 17.03.2022) pubblicata il 24/08/2022, n. 25287 ha creato ha creato perplessità negli ambienti aziendali avendo gli stessi pensato si trattasse di un overruling ovvero dell'abbandono di un indirizzo precedentemente accolto da parte di una corte abilitata a enunciare dei principi di diritto in grado di vincolare gli altri giudici.

Tale perplessità deve essere ripudiata con fermezza, confermando con decisione i principi di diritto sanciti, negli anni, dalle varie sentenze della Corte di Cassazione.

Inoltre, la sentenza in oggetto non fa altro che affermare nuovamente i principi sopra enunciati, non inserendone dei nuovi.

Ed infatti la parte ricorrente (lavoratore) afferma “Con il primo motivo il ricorrente deduce, ex art. 360 c.p.c., n. 3, violazione e falsa applicazione della L. n. 300 del 1970, artt. 2, 3 e 4, in relazione al controllo della prestazione lavorativa mediante agenzia investigativa esterna, osservando che detto controllo deve limitarsi agli atti illeciti non riconducibili al mero inadempimento dell'obbligazione da parte del lavoratore, non potendo sconfinare nella vigilanza dell'attività lavorativa vera e propria, riservata dall'art. 3 dello Statuto dei lavoratori al controllo diretto del datore di lavoro e dei suoi collaboratori”.

Tale concetto, richiesto dal lavoratore, è ormai a tutti ben noto e non adombrato da possibili diverse interpretazioni del diritto vivente.

Prosegue poi la difesa del lavoratore affermando “Con il secondo motivo il ricorrente deduce omesso esame di un fatto decisivo in relazione al controllo illegittimo della prestazione lavorativa mediante agenzia investigativa esterna, nonché in merito alla condizione lavorativa, avendo la Corte d'appello omesso di considerare che gli informatori di parte datoriale avevano ricevuto l'incarico di verificare la prestazione lavorativa ed avevano controllato il lavoratore ben oltre il normale orario di lavoro, verificando analiticamente le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa.

Anche queste affermazioni sono ben chiare ed infatti così statuisce la Cassazione: “Questa Corte (ex multis Cass. n. 15094 del 11/06/2018) ha affermato in ordine alla portata della L. n. 300 del 1970, artt. 2 e 3, i quali delimitano, a tutela della libertà e dignità del lavoratore, in coerenza con disposizioni e principi costituzionali, la sfera di intervento di persone preposte dal datore di lavoro a difesa dei propri interessi, e cioè per scopi di tutela del patrimonio aziendale (art. 2) e di vigilanza dell'attività lavorativa (art. 3) - che essi non precludono il potere dell'imprenditore di ricorrere alla collaborazione di soggetti, esterni (come, nella specie, un'agenzia investigativa), ancorché il controllo non possa riguardare, in nessun caso, né l'adempimento, né l'inadempimento dell'obbligazione contrattuale del lavoratore di prestare la propria opera, essendo l'inadempimento stesso riconducibile, come l'adempimento, all'attività lavorativa, che è sottratta a tale vigilanza.

Affermando e quindi confermando quando sopra esposto che per estrema sintesi può tradursi in:

  • si all’attività investigativa (privata e occulta) per la tutela degli interessi del datore di lavoro ovvero la tutela del patrimonio aziendale e altri illeciti perseguiti dal lavoratore,
  • no e quindi divieto di controllare l’esatta prestazione lavorativa dello stesso lavoratore.

Quindi la stessa Corte prosegue con una dichiarazione cristallina che: Il controllo esterno, quindi, deve limitarsi agli atti illeciti del lavoratore non riconducibili al mero inadempimento dell'obbligazione (cfr., in tali termini, Cass. n. 9167 del 2003). Tale principio è stato costantemente ribadito, affermandosi che le dette agenzie per operare lecitamente non devono sconfinare nella vigilanza dell'attività lavorativa vera e propria, riservata, dall'art. 3 dello Statuto, direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori.

Ne resta giustificato l'intervento, pertanto, solo per l'avvenuta perpetrazione di illeciti e l'esigenza di verificarne il contenuto, anche laddove vi sia un sospetto o la mera ipotesi che illeciti siano in corso di esecuzione (v. Cass. n. 3590 del 2011; Cass. n. 15867 del 2017).

Il che tradotto vuol dire che agli istituti di investigazione è preclusa quella vigilanza (rivolta ad accertare l’esatto adempimento della prestazione lavorativa), riservata dall’art. 3 dello Statuto dei lavoratori, al datore di lavoro e ai suoi collaboratori. Ma resta salvo il controllo difensivo (con i controlli occulti, d.c. difensivi) degli investigatori ai fini della verifica di illeciti posti dal lavoratore a danno della parte datoriale.

Ed ancora.

“Ai controlli al di fuori dei confini indicati ostano sia il principio di buona fede sia il divieto, di cui all'art. 4 dello Statuto dei lavoratori, nella formulazione applicabile ratione temporis, vigendo il divieto di controllo occulto sull'attività lavorativa anche nel caso di prestazioni lavorative svolte al di fuori dei locali aziendali, ferma restando l'eccezione rappresentata dai casi in cui il ricorso ad investigatori privati sia finalizzato a verificare comportamenti che possano configurare ipotesi penalmente rilevanti (come l'esercizio durante l'orario lavorativo di attività retribuita in favore di terzi su cui v. Cass. nn. 5269 e 14383 del 2000).”

Anche in questa affermazione la Corte continua a ribadire i concetti di ordine generale ovvero che i controlli sulla prestazione lavorativa sono vietati anche al di fuori dei locali aziendali, restando sempre in vigore il principio di diritto che l’investigatore privato può svolgere il controllo difensivo quando è finalizzato a disvelare comportamenti illeciti, e nel caso di specie penalmente rilevanti, del lavoratore.

La conclusione, che accoglie le doglianze del lavoratore, riguardano però una fattispecie complessa in quanto “le investigazioni che avevano interessato il lavoratore erano sorte nell'ambito della più ampia indagine avente ad oggetto la violazione dei permessi ai sensi della L. n. 104 del 1992, art. 33, da parte della collega S.L., con la quale il ricorrente era stato ripreso più volte.

Affermando pertanto che l’attività (investigativa) lecita svolta sulla collega, la quale violava i permessi 104/1992, ha coinvolto incidentalmente il ricorrente. Tali informazioni quindi non posso essere utilizzate a danno del ricorrente in quanto scaturite nel perimetro di altra indagine.

Pertanto la Suprema Corte ha fatto buon governo dei principi di diritto sopra enunciati potendo così affermare che non si tratta di un overruling, per le ragioni in diritto sopra esposte.

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