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Il dibattito

Autonomia, Giovanardi: «La spesa statale penalizza ancora il Veneto»

L'esperto: «Se si guardano le cifre vere, cioè quelle sui servizi erogati, non ci sono dubbi. La riforma è una scommessa: dare gestioni migliori facendo guadagnare anche Roma»
La Conferenza delle Regioni: l'incontro col ministro Calderoli sul ddl per l’autonomia (a sin. il presidente veneto Zaia)
La Conferenza delle Regioni: l'incontro col ministro Calderoli sul ddl per l’autonomia (a sin. il presidente veneto Zaia)
La Conferenza delle Regioni: l'incontro col ministro Calderoli sul ddl per l’autonomia (a sin. il presidente veneto Zaia)
La Conferenza delle Regioni: l'incontro col ministro Calderoli sul ddl per l’autonomia (a sin. il presidente veneto Zaia)

Il governo Meloni vuole dimostrare che ci prova sul serio, il ministro Calderoli è decisissimo, e una proposta di “legge quadro” sull’autonomia differenziata delle Regioni potrebbe fare presto un primo passo. Ma i tanti oppositori nel paese affilano le armi, spesso con attacchi arruffati che il prof. Andrea Giovanardi, tributarista docente a Trento e da anni in prima fila nella delegazione trattante della Regione per l’autonomia, continua a rintuzzare. 

Prof. Giovanardi, il dibattito si accende sul concetto di “spesa storica”: molti sostengono che lo Stato spende più al Nord che al Sud. Ma non si è sempre ribadito che il Veneto con una autonomia “a spesa storica” ci rimetterebbe?

Il tema è a quale “aggregato” di spesa si fa riferimento. Molti oppositori dell’autonomia, commentatori e politici, ritengono che l’aggregato rilevante ai fini del confronto tra regioni sia la spesa del settore pubblico “allargato”, con quella degli enti previdenziali e delle società pubbliche. Bisogna invece prendere a riferimento la spesa pubblica di carattere erogativo. 

Questo perché la spesa per le pensioni non c’entra nulla con le materie oggetto delle richieste di autonomia.

Certo che no: la distribuzione territoriale della spesa pensionistica è collegata alla residenza dei pensionati e non a una scelta dello Stato. Lo stesso vale per la spesa derivante dalle imprese pubbliche: dipende alle esigenze del mercato in cui esse operano. Per fare un esempio, è ovvio che Enel spende di più laddove c’è maggiore domanda di energia elettrica, così come è ovvio che le entrate di Enel derivino in misura maggiore dai territori a maggiore domanda (questo, però, non lo considerano mai). Conteggiare queste voci di spesa nel fare confronti tra territori è quindi radicalmente sbagliato. Anche gli interessi che lo Stato paga per il debito pubblico non vanno conteggiati perché sono riconosciuti, quale corrispettivo, non ai territori ma a chi ha prestato denaro allo Stato. E poi va considerato che i titoli di Stato sono acquistati anche da grandi banche con sede a Nord ma che operano sull’intero territorio nazionale.

Quali sono le cifre a cui guardare davvero?

È chiaro che il confronto, come dicevo prima, va fatto su quanto lo Stato spende per erogare servizi sul territorio. La cifra a cui guardare è la cosiddetta spesa statale “regionalizzata” quale risulta dai dati di contabilità nazionale.

E sono proprio le cifre che riguardano anche le materie che le Regioni possono chiedere per avere più autonomia.

All’autonomia ci arriviamo. Ma prima mi faccia dire che se guardiamo i dati aggiornati al 2019-2020 emerge che il Veneto è penultimo della classifica delle Regioni a statuto ordinario. La spesa statale per ogni cittadino veneto è di circa 4 mila euro, contro una media nazionale di 5 mila: sono mille euro in meno per ciascuno dei 4,9 milioni di cittadini veneti. 

Vale a dire che ci perdiamo quasi 5 miliardi rispetto alla media nazionale.

A perdere più di tutti è la Lombardia, che è sotto i 3.800 euro a cittadino, mentre al terzultimo posto c’è l’Emilia-Romagna con circa 4.200 euro. Va poi evidenziato un altro aspetto fondamentale: i confronti di spesa, in vista del possibile trasferimento di determinate competenze, vanno fatti per singola funzione. 

Quindi arriviamo davvero alle materie che possono essere chieste dalle Regioni.

Spero ormai sia chiaro a tutti che non è che una Regione chiede “tutta la materia” indicata dalla Costituzione. Si chiede invece il trasferimento di specifiche funzioni e competenze riconducibili alla “materia” prevista nella Carta, nell’idea, che è anche una scommessa, che la Regione sia in grado di gestirle in modo più efficiente rispetto allo Stato. Ad esempio: sull’istruzione nessuno ha mai pensato di stravolgere i programmi scolastici magari introducendo l’uso della lingua veneta; diversamente, pensare a concorsi regionali (come peraltro accade nella vicina Provincia di Trento), ovviamente aperti a tutti, in modo da garantire la continuità dell’attività didattica, è un obiettivo che, a mio parere, è legittimo porsi. In ogni caso, tutte le richieste sono oggetto di confronto e trattativa: la Regione chiede, lo Stato decide se aderire. Auspicando che, in caso di no, spieghi anche il perché. 

E qui siamo a un primo punto chiaro: se le materie richieste dal Veneto passassero “a spesa storica”, si tratta di cifre che sono più basse di quelle destinate ad altre Regioni.

È proprio qui il punto: i dati, correttamente individuati, dimostrano che non è vero che il trasferimento “a spesa storica” di funzioni e competenze alle regioni del nord rende definitivo il vantaggio di queste ultime, ma anzi il contrario. Per esempio, nell’istruzione i dati dicono che la spesa pro capite è più alta nelle regioni del Sud rispetto al Veneto. Il trasferimento delle funzioni a spesa storica nell’istruzione danneggia il Veneto. Per questo abbiamo sempre sostenuto che si debba andare oltre la spesa storica per arrivare ai costi-fabbisogni standard.

Ora però la svolta sembrerebbe andare verso una accelerata che effettivamente lasci da parte la spesa storica e punti subito a definire i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni che vanno garantiti da Stato o Regioni. È fattibile in tempi non lunghi?

La determinazione dei Lep, livelli essenziali delle prestazioni per i diritti civili e sociali che danno corpo alla cittadinanza, è compito dello Stato. Il quale su questo è inadempiente. Non c’è dubbio che arrivare a tale risultato è un’urgenza istituzionale. Ma attenzione: è un obiettivo non collegato all’autonomia differenziata. Perché ad esempio, come detto, il trasferimento delle competenze potrebbe anche avvenire per le regioni del nord a spesa storica senza che questo danneggi le altre (poi però bisogna arrivare a superarla con i costi e i fabbisogni standard). La scelta contenuta nella recente Legge di bilancio è tuttavia diversa per le cosiddette materie Lep (ad oggi sanità, che peraltro ha già i livelli essenziali di assistenza, istruzione, assistenza e trasporto pubblico locale): prevede che nulla potrà essere trasferito fino alla determinazione dei Lep. 

Significa che abbiamo davanti tempi biblici?

Manca una mappatura dei diritti civili e sociali a fronte dei quali deve essere garantita la copertura dei Lep per i servizi ad essi connessi: è questo il compito della Cabina di regia istituita con la Legge di bilancio. Un significativo passo in avanti. Gli oppositori dell’autonomia differenziata dovrebbero quanto meno ammettere che se si arriverà finalmente alla determinazione dei Lep è per merito delle iniziative di Veneto, Lombardia ed Emilia-Romagna. 

È un tema molto delicato però, perché se definisci i Lep poi li devi anche garantire, e questo comporta una riorganizzazione della spesa dello Stato intero: Roma ha il problema di dover affrontare spese maggiori.

Prima si individuano i diritti civili e sociali che meritano la copertura, poi le prestazioni essenziali da garantire a tutti, e infine i “costi e fabbisogni standard” per evitare di premiare chi spreca e danneggiare chi è più efficiente. Ovvio che questo obbliga a superare il sistema della spesa storica. È un processo che impone una seria collaborazione tra tutti i Ministeri interessati e porterà a risultati di “riallocazione” delle risorse tra diversi territori per il momento difficilmente prevedibili. 

Ma una Regione che chiede più autonomia non potrebbe fare da “pilota” per l’intero Stato nell’attuare quei Lep sul territorio?

Attenzione: i Lep vanno garantiti dallo Stato, quale che sia l’ente che deve fornire i servizi. E va anche specificato che una volta eseguita la pur sacrosanta fissazione dei Lep, non è automatico che poi si riesca a garantirli tutti e subito: bisogna pur sempre fare i conti con le risorse disponibili, in uno Stato che non ha spazi significativi per aumentare le imposte visto che sono già molto alte. 

Però i Lep sono previsti nella “legge quadro” per l’autonomia a cui lavora il Governo.

Perché si dà per scontato che dai Lep deriverà una maggiore spesa nelle regioni del Sud, il che, per le materie di competenza regionale, è tutto da verificare. E poi è evidente che se non si fosse previsto che accanto all’autonomia differenziata, e prima di ogni trasferimento di competenze, si debba procedere con la determinazione dei Lep, si sarebbe resa politicamente impercorribile la strada che dovrebbe condurre all’autonomia differenziata. 

Un ulteriore ostacolo è quello degli esperti che dicono che se si concede l’autonomia su sanità, istruzione, lavoro, energia, si spacca l’Italia.

Se la pubblica amministrazione regionale sarà in grado di fornire servizi migliori ai propri cittadini rispetto alla situazione attuale e senza togliere risorse alle altre regioni, non si vede come questo possa spaccare l’Italia, salvo che non si intenda che l’essenziale elemento unitario è il mal comune. 

Altra critica: dicono che la Regione che vuole l’autonomia non deve puntare a una compartecipazione alle tasse raccolte sul territorio, ma deve istituire nuove imposte regionali.

La tesi è clamorosamente sbagliata: se così fosse, i cittadini della regione che si è differenziata pagherebbero due volte per gli stessi servizi: una prima volta allo Stato con le imposte nazionali, una seconda alla Regione con i nuovi tributi istituiti per finanziare la nuova competenza che le è stata attribuita. Sarebbe una discriminazione inaccettabile. Chi continua a sostenere questa tesi o non ha capito, o è in malafede. La verità è che l’unico strumento che può essere utilizzato per finanziare le funzioni trasferite alla Regione è la compartecipazione al gettito dei tributi erariali riferibile al suo territorio. Su questo si fonda un’altra contestazione: se il gettito cresce, cresce anche la quota spettante alla Regione: le resteranno maggiori risorse. E c’è chi si oppone con forza a questa ipotesi. Ma non mi stancherò mai di ripetere che se il gettito aumenta, anche per effetto della scelta autonomistica, aumenta anche la quota che incassa lo Stato: avrebbe maggiori risorse rispetto a quelle di cui disponeva prima di passare le funzioni alla Regione. 

Lei ha già proposto peraltro che se una Regione dovesse “incassare” di più, si può pensare a creare un fondo che dia vantaggi anche alle altre Regioni.

A un certo punto si è pensato anche a questo: una quota del surplus potrebbe essere destinata a un fondo perequativo orizzontale destinato alle Regioni a minore capacità fiscale. La proposta però non è stata ben accolta dai detrattori dell’autonomia differenziata: rimandano al mittente da anni ogni tipo di soluzione, perché quel che vogliono è che si mantenga inalterata l’attuale situazione. 

Questa proposta, poi, non è stata ripresa dalla bozza di legge quadro del ministro Calderoli.

Lo ripeto, era una possibilità a cui si era arrivati in una logica di “second best”. Vista l’accoglienza e considerato il gigantesco flusso di risorse che viene già trasferito dal Nord al Sud, in logica perequativa seppur implicita, trovo la scelta di mettere da parte questa possibilità corretta. 

Avete avuto di fronte in questi anni governi di tutti gli schieramenti, ma gli ostacoli sono sempre gli stessi: il colore politico del governo c’entra poco?

Le richieste di autonomia sono venute da due regioni a guida leghista (Veneto e Lombardia) e da una a guida Pd (Emilia Romagna). Ora ci sono la Liguria, il Piemonte e la Toscana. La riforma non può quindi essere collegata in modo esclusivo a questo o quel partito. La risposta alla sua domanda quindi è affermativa. 

Tecnicamente, il presidenzialismo crea problemi all’autonomia differenziata?

Il primo non c’è nella Costituzione e quindi richiede una non semplice riforma. L’autonomia differenziata invece c’è e attende da 20 anni di essere attuata. Condizionare l’una all’altro mi pare sia un modo per rinviare sine die l’attuazione dell’articolo 116, terzo comma, della nostra Costituzione.

 

 

Piero Erle

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