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«È vero, il virus ora è clinicamente morto»

Il prof. Paolo NavalesiUn reparto di terapia intensiva
Il prof. Paolo NavalesiUn reparto di terapia intensiva
Il prof. Paolo NavalesiUn reparto di terapia intensiva
Il prof. Paolo NavalesiUn reparto di terapia intensiva

«Quando si arriva a ricoverare in terapia intensiva per certi versi è una sconfitta, perché vuol dire che qualcosa non ha funzionato. Noi in Veneto per il coronavirus abbiamo avuto al massimo un rapporto tra ricoveri totali e ricoveri in terapia intensiva al 20%: è forse il migliore d’Italia. Adesso i pazienti infetti in terapia sono due, quindi oggi dico che clinicamente questa cosa è sotto controllo. Vi garantisco che ho più pazienti con infezioni batteriche multiresistenti a Padova che quelli Covid dell’intera regione. Ha ragione il mio amico prof. Alberto Zangrillo del San Raffaele: il virus è clinicamente morto, lo dicono i numeri dei ricoveri attuali. A Padova stiamo guardando avanti: trapianti e tutto il resto». Paolo Navalesi, responsabile di Anestesiologia e Terapia intensiva dell’Azienda ospedaliera di Padova, è un vero e proprio guru della terapia intensiva che è stato in contatto con un luminare cinese spedito dal governo di Pechino in prima linea a Wuhan, ogni giorno con quelli della Lombardia e poi con quelli di Boston: «È stato lui il primo - spiega il governatore Luca Zaia che l’ha invitato ieri di fronte ai giornalisti - a parlare a livello nazionale che il problema non era tanto la polmonite, ma le trombosi create dai coaguli nei pazienti. È stato il nostro faro nello stendere le linee guida, specie nella fase più difficile, per la presa in carico dei pazienti più problematici». LA SCELTA VINCENTE. «Nulla di quello che è successo - spiega Navalesi - io me l’aspettavo: ho sbagliato tutte le previsioni. E se devo dare una visione, a un certo punto abbiamo iniziato a guardare questo Covid come i bambini: una novità tutta da apprendere. È qualcosa che non ho mai visto prima e che spero di non rivedere più. E ricordo bene che dissi anche in tv che il Covid non è una polmonite, perché ci eravamo accorti che i pazienti erano in stato ipercoagulativo, compresi quelli non gravi ricoverati nei reparti medici, con tutti i rischi del caso». Navalesi, pacato, difende da responsabile scientifico anche il famoso documento Siaarti (società di rianimazione) sull’eventualità di dover decidere a chi dare priorità nelle cure intensive in caso di troppo afflusso di malati gravi. Ma il Veneto non ci è mai arrivato: «Non ho mai dovuto scegliere di non ricoverare un paziente perché non c’era un letto». Perché il gruppo di clinici veneti - con Navalesi il primario pneumologo Andrea Vianello e altri - sapeva che rischiava il “tutto esaurito”, e invece «ci siamo inventati una “intercapedine” tra malattie infettive e terapia intensiva, una zona di terapia semi-intensiva con con una marea di letti. E abbiamo cambiato subito le linee guida introducendo la “fase intermedia”». «E noi come amministrazione - aggiunge Zaia - ci siamo buttati a comprare caschi Cpap per la ventilazione non invasiva dei pazienti, e tutte le altre attrezzature». PREVISIONI IMPOSSIBILI. Tornerà il virus in autunno? «Chiunque ritiene di poter fare previsioni, è matto», risponde Navalesi. Ma aggiunge: «Io sono ottimista, non credo tornerà. E se siamo riusciti a reagire nel giro di giorni, adesso posso dirvi che siamo pronti a reagire nel giro di ore. Grazie al fatto che lavoriamo assieme: la ricerca scientifica fatta in squadra, osservando le evidenze cliniche. Non si fa buona clinica senza ricerca. E noi siamo stati fortunati ad avere un “ritardo” di sette giorni rispetto alla Lombardia, e siamo stati bravi a saperlo sfruttare». • © RIPRODUZIONE RISERVATA

Piero Erle

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