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Il caso

Crisanti, «Lascio l'Università di Padova». Scelta legata all'indagine sui tamponi rapidi

«Per essere libero di prendere ogni decisione» su indagini Padova e intercettazioni. La replica della Regione. La precisazione dell'avvocato di Rigoli

«A partire da oggi lascio l'Università di Padova». Lo ha detto all'Ansa il senatore Andrea Crisanti, che all'Ateneo padovano ricopriva il ruolo di docente ordinario di microbiologia. La decisione, ha proseguito Crisanti, è legata all'indagine sui tamponi rapidi della Procura di Padova, e alla diffusione di alcune intercettazioni telefoniche che lo riguardano. Senza voler entrare nel merito, Crisanti ha aggiunto di volere «essere libero di prendere ogni decisione che mi riguarda, visto anche - ha concluso - che vi sono molte intercettazioni che riguardano anche altri docenti dell'Università».

In onda su Report

Premessa, stasera su Report (Rai) andrà in onda un servizio dedicato al Veneto: "La grande truffa", il titolo. Nella regione - spiega il lancio della puntata -, durante la seconda ondata della pandemia, è accaduto il disastro: ci sono stati 1600 morti in più rispetto alla media nazionale. «Cosa è successo? Avevano puntato tutto sui tamponi rapidi, era il test di riferimento anche per gli operatori sanitari e per le Rsa, contrariamente alle indicazioni dell’Oms e anche a uno studio del professor Crisanti. Dopo l’inchiesta di Report dello scorso anno si è mossa la procura di Padova e ha chiesto il rinvio a giudizio di quello che per il governatore  Zaia era l’Elon Musk del Veneto, il dottor Roberto Rigoli. I magistrati scoprono che a giustificare appalti milionari per i tamponi rapidi, ci sarebbero attestazioni scientifiche false».

Le intercettazioni

Crisanti sarebbe stato preso di mira dal governatore del Veneto, il leghista Luca Zaia, per le proprie prese di posizione sulla gestione della pandemia. «Accolgo con sgomento queste dichiarazioni - ha fatto sapere - . Perché poi non sono solo queste le dichiarazioni. Ho fatto accesso agli atti e ci sono ben altre dichiarazioni, in cui si dimostra che lui è l’orchestratore di una campagna di diffamazione e discredito nei confronti, tra le altre cose, di una persona che lavora per la Regione e che, tra le altre cose, ha preso delle posizioni proprio per salvaguardare la Regione stessa», ha detto Crisanti.

L'altro fronte

«L’accusa non mette assolutamente in dubbio l’utilità e l’attendibilità dei test rapidi antigenici oggetto delle indagini. Test utilizzati ancora oggi a livello internazionale. Allo stesso modo va ricordato che le indagini preliminari hanno evidenziato come il solo interesse del dottor Roberto Rigoli emerso in questa vicenda sia stato quello di perseguire il bene pubblico, in una situazione di grande tensione ed urgenza determinata dall’emergenza sanitaria, e che non sia stata prodotta alcuna falsa documentazione, elemento riconosciuto dalla stessa Procura durante la prima fase dell’udienza preliminare». Lo sostiene in una nota l’avv. Giuseppe Pavan, legale di Rigoli, ex coordinatore delle Microbiologie del Veneto coinvolto nell’inchiesta padovana sui cosiddetti tamponi rapidi anti Covid, sperimentati dal Veneto tra la prima e la seconda ondata del virus.

Le precisazioni sono giunte a poche ore dalla messa in onda stasera, nell’ambito della trasmissione Report di Rai3, di un servizio dedicato alle intercettazioni che chiamerebbero in causa, tra gli altri, lo stesso Rigoli, accusato di falso in atto pubblico per aver mentito sull’efficacia dei test, senza verificarne l’idoneità tecnico scientifica. «Rispetto al fulcro dell’imputazione, ovvero di aver comunicato con una e-mail di avere compiuto un’indagine sulla "sensibilità" dei test rapidi che erano stati offerti ad Azienda Zero-Regione Veneto, è necessario spiegare - chiarisce il legale - che un’indagine sull’efficacia dei tamponi rapidi antigenci non solo non era stata richiesta, come già risulta negli atti, ma nemmeno era possibile e necessaria, essendo i prodotti marchiati e certificati CE/IVD. Ricordiamo che per tale indagine occorre un tempo minimo di 12 mesi di sperimentazione scientifica».

Per il legale, «nella specifica situazione di cui stiamo parlando si dovevano invece riscontrare in maniera documentale le caratteristiche tecniche del prodotto e, visto che sarebbero stati utilizzati da personale esterno alle microbiologie, è stato ritenuto corretto anche testarne la praticità nell’utilizzo. Questo è stato fatto. Al dottor Rigoli è stato infine riconosciuto, da molte persone, anche nel corso delle indagini preliminari, di avere svolto durante la pandemia un importante ruolo di coordinamento di tutte le microbiologie del Veneto, con significativi risultati a vantaggio della tutela della salute pubblica».

Il procedimento penale, che coinvolge con Rigoli anche Patrizia Simionato, ex dg di Azienda Zero, si trova ancora
nella fase della richiesta di rinvio a giudizio.

La replica della Regione

«Andrebbe ricordato al Senatore Crisanti - una parte della nota giunta dalla Regione - che nella pubblicazione di Nature Communication a firma del team dello stesso Senatore, giunta a pubblicazione dopo due anni dall’accadimento dei fatti, dopo la revisione attenta degli studiosi inglesi dell’Imperial College è sparito ogni collegamento, riferimento, ipotesi alla maggiore mortalità in Veneto provocata dall’adozione massiva di test antigenici (con supporto dei test molecolari), rispetto alle versioni in pre print. E a validare le modifiche sono gli scienziati inglesi colleghi dello stesso Crisanti», si aggiunge.

«Se il linguaggio politico vede talvolta trascendere nei toni, il nostro mondo, quello della scienza e dei professionisti della sanità non può accettare di essere strumento di contesa. Ne va dalla credibilità di chi continua a lavorare con il camice e vuol far sentire la propria voce contro quello che potrebbe apparire un vilipendio dell’istituzione regionale», terminano i dirigenti della sanità del Veneto.

 

Andrea Mason

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