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Intervista al professor Enrico Polati

Verona tra i primi in Europa nelle nuove
cure e 24 progetti di ricerca sul Covid

Intervista al professor Enrico Polati
Il professor Enrico Polati
Il professor Enrico Polati
Il professor Enrico Polati
Il professor Enrico Polati

Che cosa sappiamo del coronavirus? Poco, molto poco. Come si comporta, a quali cure reagisce, quali farmaci funzionano e perchè, se ci lascerà immunizzati, se tornerà o sparirà per sempre. Sono le domande alle quali i ricercatori, gli scienziati, anche qui a Verona, vogliono dare una risposta, in tempi brevi, per garantire la salute e la sicurezza di tutti.

 

Se nella battaglia contro il Covid19 da un lato ci sono medici e infermieri in prima linea nei reparti di terapia intensiva, dall’altra c’è il fronte dei medici, spesso sono gli stessi, che si concentrano nella ricerca, quella ricerca troppe volte considerata come una cenerentola. Ma Verona è in prima fila nel rivendicare questo ruolo con la sua università di Medicina: sono 24 i progetti di ricerca avviati e già finanziati (Cariverona in primis) per andare a caccia dei segreti del Covid19, di cui tre seguiti dall’Oms, l’Organizzazione mondiale della sanità.

 

Sono le nuove frontiere della scienza contro il coronavirus e la nostra città è pioniera anche nelle cure come spiega il professor Enrico Polati, professore ordinario di Anestesia, rianimazione, terapia intensiva; direttore del dipartimento Emergenza e Terapie Intensive dell’Azienda ospedaliera (Borgo Roma e Borgo Trento) e dell’Unità operativa di Anestesia e Rianimazione B. «Nel nostro reparto di terapia intensiva di Borgo Trento nei giorni scorsi per la prima volta in Europa è stata applicata una cura particolare su un paziente che non dava segni di reazione: un infuso di cellule staminali mesenchimali in grado di modulare e tenere sotto controllo l’infiammazione. Una terapia utilizzata in Cina e negli Stati Uniti, ma mai prima in Europa fino al caso di Verona. I risultati sono buoni».

 

Sono ancora tante, troppe, professore le cose che non sappiamo di questo virus. E che cosa siamo riusciti a sapere? Di questi virus noi conosciamo molto poco. Per esempio la Mers, epidemia che si presentò in Medio Oriente quattro, cinque anni fa, a un certo punto come è venuta è sparita e non si è più ripresentata. Nel 2019 è arrivato il Covid 19 dal comportamento molto bizzarro. Non sappiamo se chi passa la malattia resta immune come per il morbillo o se con un vaccino si è coperti per sempre. Siamo riusciti a capire invece che questo virus nell’ambito della terapia intensiva dà in una piccola percentuale di pazienti, gravissime insufficienze respiratorie e queste si associano a un danno vascolare endoteliale che può colpire anche gli altri organi. E non solo: tutti questi pazienti hanno una spiccata tendenza a sviluppare fenomeni trombotici importanti che possono ancor più peggiorare la situazione respiratoria e cardiocircolatoria.

 

Che cos’altro sappiamo prof. Polati? Le nostre statistiche dicono che in terapia intensiva abbiamo una mortalità attorno al 15%, inferiore a quella della Lombardia che è del 26%. Sappiamo anche che ci sono sicuramente alcuni fattori che predispongono a un maggior tasso di mortalità: l’età avanzata, la presenza di altre patologie, l’ipertensione, il diabete, l’obesità, il sesso maschile (e non sappiamo perché le donne sono meno gravemente colpite). I tempi medi in terapia intensiva sono di una settimana per pazienti di 20/25 anni, altri hanno bisogno di 2 o 3 settimane di ventilazione artificiale. È una patologia che quando colpisce forte, picchia duro.

 

Circolano tante fake news su possibili rimedi: ma dal punto di vista scientifico quali sono i farmaci veri che aiutano nella lotta contro il coronavirus? Parliamo di ricerca avanzata, su alcuni farmaci che agiscono modulando la risposta citochimica sulle infiammazioni e di sperimentazioni su alcuni farmaci antivirali, anche vecchi utilizzati una volta per l’Hiv, cure e farmaci antimalarici. Fin da subito abbiamo usato l’idrossiclorochina, farmaco antimalarico associato al Kaletra farmaco antivirale usato per l’Hiv: questa è l’associazione standard con cui vengono tratti i malati fin dalle fasi più precoci. Abbiamo compiuto anche studi sul trattamento dei pazienti con un altro antivirale il Remdesivir e anche con farmaci che invece modulano la risposta citochimica in particolare il Tocilizumab anticorpo monoclonale per l’artrite reumatoide. In alcuni casi, visti direttamente nel mio reparto, i risultati sono stati soddisfacenti su pazienti molto gravi.

 

Il virus per quanto tempo circolerà ancora? Siamo lontani dall’averla vinta sul virus. Non c’è dubbio che possa ripresentarsi un’altra ondata di contagio: penso al prossimo autunno o inverno quando arriverà in ospedale qualcuno con tosse o febbre. È chiaro che dovremo abituarci a convivere con la presenza di questo virus e predisporre negli ospedali percorsi differenziati tra malati Covid e noCovid, potenziare uso sistematico dei tamponi come fatto in Veneto e Verona. Un lavoro difficile che ci coinvolgerà tutti nelle prossime settimane e per lungo tempo credo.

 

Si può puntare sugli immunizzati? C’è un punto da capire. Una volta che ho gli anticorpi, le IgG, cosa significa? Che sono immune? E fino a che punto sono protetto o me lo posso riprendere? Il coronavirus è della stessa famiglia dei virus del raffreddore, che può tornare senza problemi più volte in una stagione. Si comporterà così?

 

Quindi i reparti di terapia intensiva resteranno sempre allerta? Per quanto tempo? A Verona nella nostra azienda ospedaliera abbiamo raddoppiato i posti letto di terapia intensiva, siamo passati da 60 a oltre 100 posti letto e riconvertito i posti letto di terapia intensiva no Covid a posti letto per malati Covid, è stato un lavoro titanico. Quindi questi reparti non li smantelliamo di sicuro, si è visto la loro importanza e quanto è oneroso mettere in piedi un reparto. Ci penseremo bene, perché non è detto che questa epidemia, o un’altra, non possa ripresentarsi. •

Maurizio Battista

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