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L'anniversario

Verona e l’attacco alle Torri: «Non potremo mai dimenticare» / I RACCONTI

La prima pagina dell'Arena del 12 settembre 2001
La prima pagina dell'Arena del 12 settembre 2001
11 settembre 2001, l'anniversario

C’è chi era impegnato in un’operazione chirurgica delicata e, di quello che stava accadendo, seppe solo alcune ore dopo: mentre lui salvava una vita, 3mila persone la stavano perdendo nel cuore di Manhattan. C’è chi pilotava un aereo in un angosciante parallelismo con quanto avveniva in quegli istanti nei cieli di New York. Qualcun altro faceva colazione in un terrazzo affacciato sulle Twin Towers. Ognuno ha un suo ricordo, a distanza di vent’anni ancora vivo, nitido, lucido, di quel 11 settembre che cambiò la storia del mondo, la vita di ciascuno. Abbiamo chiesto a imprenditori, artisti, politici, a personaggi veronesi noti ma anche a tutti voi lettori qual è l’immagine che avete scolpita nella mente, di quel giorno. Il risultato è un quadro collettivo attraversato da paura, incertezza, angoscia. Dalla consapevolezza che da allora, nulla è più come prima.

 

 

MARILISA ALLEGRINI Era mattina a New York. Marilisa Allegrini stava facendo colazione con gli occhi fissi su quel paesaggio mozzafiato: Downtown, Hudson River, New Jersey, Statua della Libertà, Empire State Building e …Twin Towers. “Ero arrivata da qualche giorno per partecipare ad una degustazione organizzata dall’allora nostro importatore. In quel momento mi trovavo nell’appartamento che mi ospitava, che dista circa 3,6 miglia dal World Trade Center. La vista da lì era mozzafiato”. Ma all’improvviso iniziò l’apocalisse. “Vidi una colonna di fumo nerissimo uscire dai piani alti di una delle Torri Gemelle. Mi resi subito conto che era una cosa seria, chiamai quindi a casa mia madre per rassicurarla. Andai poi sul terrazzino e i miei occhi rimasero inchiodati a quello che stava succedendo davanti a me. Il fumo diventava sempre più denso, le fiamme iniziavano a uscire dalla torre. Si sentivano anche le prime sirene. Tuttavia i carpentieri che stavano lavorando nel grattacielo in costruzione davanti a quello in cui mi trovavo, continuavano imperterriti a lavorare, ignari della tragedia che sta accadendo”. A quel punto Allegrini chiamò ancora una volta l’Italia, per rassicurare il marito e le figlie, con le quali solo dieci giorni prima era stata su una delle due Torri Gemelle, al ristorante. “Sarà un attentato di Al Qaeda, mi disse Giancarlo, ma io non gli credetti. Poi però vidi un altro velivolo, pensavo fosse un elicottero, che si stava avvicinando alla seconda torre. Pensai fosse un mezzo di soccorso, invece un istante dopo una palla di fuoco colpì proprio quel grattacielo. Capii che Giancarlo aveva ragione”. In quella mattinata seguirono altri dirottamenti, l’attacco al Pentagono. “Vidi poi le due torri accasciarsi, crollare, a mezz’ora l’una dall’altra. Osservare quella tragedia da lontano fu terrificante”, conclude l’imprenditrice. RAFFAELE BOSCAINI Quando venne a sapere quello che stava accadendo a New York, Raffaele Boscaini, direttore marketing di Masi Agricola e attuale presidente di Confindustria Verona, ne sentì solo il racconto. Non vide quelle immagini. “Ero in azienda, stavo partecipando a un incontro del Gruppo Tecnico Masi. Arrivò la notizia di un evento terribile che era accaduto a New York e che coinvolgeva un aereo. Ma, non vedendo le immagini”, ricorda, “subito non diedi molta importanza. Sembrava un incidente, di certo non un attentato. E poi l’idea che fosse negli Stati Uniti ci aveva allarmato meno perché pareva un evento molto lontano da noi”. Poi la riunione finì e Boscaini tornò a casa. “E a quel punto realizzai la portata della tragedia, rendendomi conto come la volontà malefica dell’uomo possa condurre a risultati scioccanti. In quella città ci ero stato decine di volte, vedendo quelle due torri che disegnavano lo skyline di Manhattan: New York aveva e ha ancora oggi un qualcosa di familiare per tutti. Per questo tutti ci siamo sentiti vicini a quella tragedia, quasi come fosse avvenuta sotto casa. Resta un ricordo vivissimo, la sensazione di non aver ancora elaborato, dopo tutti questi anni, quelle immagini”. E le conseguenze si stanno vivendo ancora oggi. Boscaini pensa agli aeroporti, ai rigidi protocolli che da allora sono stati attivati “e che fanno aumentare il sospetto, la paura: è vero che sono per la nostra sicurezza ma danno anche la dimensione della minaccia».

 

GIANMARCO MAZZI Era a casa Gianmarco Mazzi, l’11 settembre di vent’anni fa. In quel pomeriggio di fine estate il manager dello spettacolo era nel suo studio, e al pc stava preparando delle relazioni. “Avevo eccezionalmente la televisione accesa, un fatto insolito, perché di solito non accade mai”, racconta, “ma l’audio lo avevo spento. Ecco, questo dettaglio lo ricordo bene perché, mentre ero concentrato sul computer, un paio di volte alzai gli occhi e sullo schermo della tv vidi delle immagini terribili, quelle poi diventate tristemente note con il primo aereo che andava a schiantarsi contro una delle due Torri gemelle. Lì per lì pensai che fosse un film”. Ma quelle immagini continuavano, si vedevano persone terrorizzate, alcune che si gettavano giù da decine di metri d’altezza per non finire ingoiate dalle fiamme. Manhattan era devastata e Mazzi si rese presto conto che non era finzione. “Accesi l’audio, capii che era la diretta di un tg, che era tutto drammaticamente vero. E rimasi agghiacciato”. Iniziò il tam tam di messaggi “con amici, conoscenti, con quella che sarebbe poi diventata mia moglie: non riuscivo a credere a quello che vedevo. Eppure il ricordo di quegli istanti è per me, come per tutti, ancora molto nitido. Mi resi conto che si trattava di un evento che avrebbe cambiato la storia: pensai che ci stessimo avvicinando alla fine del mondo”. Da allora, dopo tutti questi anni, le riflessioni di Mazzi circa quella serie di attentati non sono cambiate: “Fu un’azione di una ferocia inaudita. Credo non ci possa essere nulla di peggiore”.

 

FEDERICO SBOARINA Era un giovane avvocato, nel 2001, l’attuale sindaco di Verona, Federico Sboarina. “Avevo lo studio in via Marconi e ogni giorno, dopo pranzo, prima di rientrare mi fermavo agli Scalzi dove un mio amico aveva un negozio: ci prendevamo insieme un caffè, una chiacchierata e poi via al lavoro”. Una tradizione rimasta immortalata nella sua memoria, segnata da quanto accadde quell’11 settembre. “Ero andato da lui come sempre, per quella manciata di minuti di leggerezza”, racconta, “e ricordo di averlo visto davanti al suo computer, pallidissimo, sembrava che avesse la morte in faccia. Gli chiesi cosa stava succedendo e lui senza dire nulla mi mostrò le immagini”. Erano ancora quelle dell’attacco alla prima torre di Manhattan “ma già avevo intuito la portata di quella tragedia. Non tornai in studio quel giorno, me ne andrai a casa col mio scooter e rimasi per ore incollato alla tv per seguire i notiziari: arrivò l’attacco alla seconda torre, poi quello al Pentagono, poi l’angoscia per gli aerei che erano usciti dal controllo americano. Come erano state attaccate le Torri Gemelle a quel punto poteva essere preso di mira il Vaticano, la Tour Eiffel, qualsiasi altro luogo”, riflette Sboarina. Un timore che venne poi confermato nei mesi e negli anni successivi: quell’attentato trasformò il modo di viaggiare, di muoversi negli spazi pubblici, di guardare chi ci vive accanto. “Ancora oggi”, prosegue il sindaco, “stiamo facendo i conti con le conseguenze di quell’evento accaduto vent’anni fa: pensiamo ai protocolli per la sicurezza ancora in vigore anche in piazza Bra”.

 

CECILIA GASDIA Era in volo, Cecilia Gasdia, quel giorno. Proprio in quei minuti. E alla guida del velivolo c’era lei. “Stavo facendo un corso per avere il brevetto di pilota d’aereo”, spiega la sovrintendente della Fondazione Arena, “e mentre si consumava il primo attacco alle Torri Gemelle io ero in cielo, sopra Boscomantico, col mio comandante Prospero Antonini”. Pilota Alitalia, istruttore di intere generazioni di piloti, Antonini è scomparso nel 2018 a causa di un incidente aereo a poche centinaia di metri dalla collina di Montericco, dove viveva. “Eravamo in volo”, ricorda Gasdia, “quando ricevemmo il messaggio dalla torre di controllo: era successo qualcosa di terribile e dovevamo atterrare. Entrati nell’ufficio dell’Aeroclub, ci trovammo davanti alla tv e a quelle immagini terribili. Eravamo attoniti: Antonini poi era pilota proprio di 767 e con quegli aerei andava spesso a New York. Eppure in quel momento, con la freddezza glaciale di un comandante, mi disse di andare, che dovevamo continuare il nostro addestramento. E così abbiamo fatto, concludendolo. Riuscii a prendere il brevetto due mesi dopo”. Ma quel pomeriggio, una volta tornata a casa Gasdia non riuscì a staccarsi dai notiziari”. Anche la sua vita di cantante lirica nel pieno della carriera – aveva 41 anni all’epoca - qualche cambiamento lo subì. Se ne rese conti nei viaggi che seguirono l’11 settembre. “Avevo terminato da poco un tour proprio negli Stati Uniti insieme ad Andrea Bocelli: si entrava e si usciva dagli aeroporti senza grandi protocolli di sicurezza. Da quel momento in poi però cambiò tutto”.

 

Damiano Tommasi in redazione. FOTO EXPRESS
Damiano Tommasi in redazione. FOTO EXPRESS

DAMIANO TOMMASI L’11 settembre 2001 segnava il ritorno della Roma in Champions, dopo quasi vent’anni. Quel pomeriggio Damiano Tommasi era nella sua casa, nel cuore della Capitale, e guardava in tv quello che stava succedendo a New York, seguendo la cronaca in diretta dai notiziari che avevano conquistato tutti i canali. “Verso sera andai allo stadio”, ricorda, “l’Uefa aveva deciso di far giocare ugualmente la sfida. Io ero squalificato e quindi dovevo seguire la partita dalla tribuna. Il clima era surreale, si toccava con mano la tensione sebbene quanto era accaduto non fosse ancora così chiaro ed era percepito in quel momento come molto lontano. Ma c’era paura, incertezza: ricordo che alla sera ancora non si sapeva dove fossero finiti gli aerei che erano usciti dal controllo americano”. I primi contraccolpi degli attentati, anche nel mondo del calcio, iniziarono a sentirsi già nelle ore successive: il giorno dopo l’Uefa decise di rinviare le partite di quel turno di Champion. “In quel periodo mi spaventava vedere un aereo volare sopra la mia testa”, ammette l’ex calciatore. Quel 11 settembre la Roma perse la sfida con il Real ma qualcosa di buono quella gara lo aveva portato. E Tommasi lo scoprì solo un anno dopo quando andò con la sua squadra proprio a New York per scontarsi, ancora una volta, con il Real. “Ci venne a trovare in hotel un ragazzo italiano”, ricorda Tommasi. “Ci raccontò che l’11 settembre dell’anno prima doveva esserci anche lui sulle Twin Tower, il suo ufficio si trovava lì, ma siccome giocava la sua squadra del cuore aveva chiesto un giorno di permesso per seguire la partita. Per questo motivo era ancora vivo. La fede calcistica gli aveva salvato la vita”.

 

PIER FRANCESCO NOCINI L’11 settembre di vent’anni fa Pier Francesco Nocini scoprì con qualche ora di ritardo ciò che era successo a Manhattan. Quel giorno, proprio quelle ore, stava salvando una vita umana. Il rettore dell’Università di Verona, direttore dell’unità operativa di Chirurgia Maxillo Facciale e Odontoiatria dell’Aoui di Verona, era in sala operatoria quel pomeriggio. “Il ricordo personale è ancora vivido”, racconta, “ero impegnato in un intervento di microchirurgia oncologica, quegli interventi che durano oltre dodici ore. In un momento operatorio delicato un mio assistente chiese di poterci comunicare un fatto di cronaca appena accaduto. Gli venne detto di attendere, eravamo tutti concentrati sull’intervento”, spiega. L’operazione terminò, il rettore uscì dalla sala operatorio che era ormai sera. E rimase sbigottito da quello che vide intorno a sé. “Solamente a tarda serata rientrai nel mio reparto e sembrava deserto: pazienti, infermieri e medico di guardia erano tutti in sala tv basiti. Non scorderò mai l’incredulità e lo sgomento alla vista di immagini che parevano surreali”. Anche Nocini si fermò per seguire i notiziari che raccontavano gli attentati che, uno dopo l’altro, si erano susseguiti nella giornata secondo un piano studiato e terribile. “Un pensiero mi sfiorò quella sera: insieme alla mia equipe avevamo impiegato circa 16 ore per salvare una vita… mentre altri in pochi minuti ne distrussero migliaia”.

 

ANDREA BOLLA Era a Milano Andrea Bolla, quel pomeriggio dell’11 settembre. La mattina passata in ufficio e poi via lungo la A4, in auto fino alla sede di Radio 24 dove aveva appuntamento con l’allora direttore Giancarlo Santalmassi. “Ero stato da poco eletto presidente del Gruppo Giovani imprenditori di Confindustria Verona”, ricorda Bolla, oggi presidente e Ceo di Vivi Energia, “stavo organizzando la mia prima assemblea dal titolo ‘Giovani leoni’, come la trasmissione di Radio24. E volevo convincere Santalmassi ad intervenire sul palco”. Quando arrivò all’ingresso della Radio però, non si aspettava di trovare il deserto. “Avevo suonato il campanello ma al desk d’ingresso non avevo trovato nessuno ad accogliermi”, racconta, “nessuno che mi considerasse. Sono rimasto un po’ lì, in piedi, in attesa. Un po’ più in là vedevo tanta gente che correva, parlava a voce alta, schiamazzava, e pensai dentro di me: ‘Guarda il mondo della radio com’è avventuroso, movimentato, proprio come lo si vede nei film’”. Un pensiero durato poco, il tempo che arrivasse l’addetta alla reception a mettergli in faccia la realtà. “Mi chiese che ci facevo lì, gli spiegai che avevo un appuntamento con Santalmassi”, prosegue Bolla, “e rendendosi conto che non sapevo nulla di quanto stava accadendo, mi prese per un braccio e mi portò in una stanza con un grande televisore. ‘Guardi’, mi disse. E se ne andò”. E io rimasi pietrificato davanti a quelle immagini. Ero sconvolto».•.

Francesca Lorandi

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