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L'intervista

Cardinale Camillo Ruini: «Possibili divisioni? La Chiesa supererà le difficoltà»

«Tra Benedetto e Francesco punti di diversità, ma nella stima e nell'affetto». «Vatilieaks, no si meritava una simile vicenda»
Cardinale Camillo Ruini
Cardinale Camillo Ruini
Cardinale Camillo Ruini
Cardinale Camillo Ruini

È stato un suo fedelissimo. Il cardinale Camillo Ruini, 91 anni, presidente della Chiesa italiana fino al 2007, racconta del suo rapporto speciale con Benedetto e di un papato che ha aperto alla nuova stagione di Francesco.

Eminenza, tra Benedetto e Francesco c’è stata una contrapposizione in questi dieci anni di coabitazione?
C’erano piuttosto stima e affetto reciproci. C’erano anche evidenti diversità di carattere, di sensibilità e anche, in qualche misura, di orientamenti dottrinali e pastorali, ma sempre all’interno dell’affetto e della stima reciproci.

Pensando al futuro della Chiesa, lei è preoccupato per i possibili contrasti provocati dagli oppositori al pontificato di Francesco?
Preferisco sempre avere fiducia che il Signore aiuterà la Chiesa a superare possibili difficoltà.

Chi era Joseph Ratzinger?
Ratzinger ha certamente voluto conservare intatto, nella sua pienezza, il deposito della fede. Ma lo ha fatto con quella straordinaria intelligenza e quella finezza spirituale che il Signore gli ha donato. Sapeva quindi molto bene che la fede vive nel tempo e, proprio per rimanere se stessa, deve rinnovarsi continuamente, in rapporto alle domande e alle sfide del proprio tempo. Già nel periodo del suo pontificato, a mio parere, la gente aveva compreso che rinchiudere la sua personalità nello stereotipo del cane da guardia della fede era una grossa sciocchezza, un autentico fraintendimento. Poche persone come lui hanno capito in profondità il nostro tempo, con le sue ricchezze e le sue contraddizioni.

Quali incontri avuti con Ratzinger ricorda come più significativi?
Di colloqui ne ho avuti molti, a cominciare da quello del 1971, l’anno in cui lo invitai a Reggio Emilia quando era professore a Regensburg e così lo conobbi personalmente. Poi l’ho incontrato quando lui era Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede e io ero Segretario e poi Presidente della Cei e Vicario di Giovanni Paolo II per la diocesi di Roma. Poi, naturalmente, quando è diventato Papa e io sono stato per tre anni suo Vicario. Poi ancora quando io ero ormai emerito e infine dopo la sua rinuncia al Pontificato: direi che i colloqui di questo ultimo periodo sono stati i più personali e quelli nei quali il nostro legame si è maggiormente approfondito.

Che idea si è fatto della rinuncia?
La sua rinuncia, a cui ero presente, sul momento mi sconcertò e preoccupò enormemente. Presto però mi resi conto che, con l’elezione del successore, il trauma sarebbe stato riassorbito. Non ho mai parlato con lui dei motivi della rinuncia perché, conoscendo la sua rettitudine, penso che i motivi siano quelli che lui ha dichiarato, e non altri. Si è trattato non tanto di stanchezza quanto della percezione che le proprie energie erano ormai insufficienti rispetto agli impegni del pontificato. Escludo che il suo scopo fosse di dare uno scossone al governo della Chiesa.

Quando Ratzinger si dimise in molti ricordarono le parole di Giovanni Paolo II secondo il quale «non si scende dalla croce». Ritiene quel gesto in qualche modo criticabile oppure no?
Giovanni Paolo II e Benedetto XVI sono stati due Pontefici in grande continuità e anche personalmente molto legati, ma le loro personalità erano assai diverse: perciò è stato anche diverso il modo in cui hanno reagito al declino delle proprie energie. Ciascuno dei due ha fatto ciò che ha ritenuto giusto e doveroso.

Cosa pensa della stagione dei Vatileaks?
È stata una brutta stagione, che ha rattristato chiunque ami davvero la Chiesa. Joseph Ratzinger non meritava assolutamente una simile vicenda.

Benedetto XVI sollevò grandi temi teologici e morali senza paura di andare contro il mainstream. Perché a suo avviso sentì il bisogno di insistere su questi temi e perché oggi se ne parla meno?
Benedetto XVI ha individuato con molta precisione le principali divergenze tra la fede cristiana – ma anche la retta ragione – e le correnti culturali oggi in qualche modo dominanti. Sono queste, a mio parere, anche le grandi questioni del futuro che ci sta davanti: è poco lungimirante, quindi, parlarne meno.

Ratzinger era molto attento anche alle vicende politiche italiane. Si ricordano, ad esempio, le udienze concesse alle istituzioni civili romane nelle quali entrava anche in modo duro sulle varie politiche prese senza fare sconti a nessuno. Era ingerenza o legittima espressione del proprio punto di vista?
Benedetto XVI non è stato certo un Papa politico; le udienze alle autorità civili, romane e non, sono di prassi. In quelle occasioni, come in tante altre, Papa Benedetto non esitava a richiamare quei grandi temi che Lei ha ricordato nella domanda precedente: si trattava non di ingerenze ma di prese di posizione doverose.

Durante il pontificato di Benedetto XVI si parlava anche molto di Europa, delle sue radici. Perché oggi questo tema sembra essere dimenticato?
Come Giovanni Paolo II, così Benedetto XVI ha avuto una grandissima sollecitudine per l’Europa. Il primo di questi Pontefici ha contribuito in maniera decisiva alla caduta della divisione susseguita alla seconda guerra mondiale, ma poi ha lottato contro la secolarizzazione. Il secondo ha continuato questa lotta. Oggi l’Europa sta perdendo sempre più la sua centralità e quindi è in qualche modo inevitabile che se ne parli meno, sebbene anche Papa Francesco abbia dedicato all’Europa alcuni interventi di grande rilievo.

Benedetto XVI venne eletto dopo la famosa Via crucis del Colosseo nella quale parlò della sporcizia presente nella Chiesa. C’era nei cardinali che l’hanno eletto la volontà di purificare una Chiesa sporca al suo interno?
C’era indubbiamente questa volontà, ma non è stata il motivo principale della sua elezione. Hanno pesato molto di più la stima personale di cui godeva e la sua vicinanza a Giovanni Paolo II. Mi è rimasto impresso il clima di fiducia e di gioia che ha permeato quel conclave, a cominciare dalle riunioni preparatorie.•.

Paolo Rodari
inviato a Roma

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