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L'intervista

Dino Castellani: «Aggiustavo i motori. E per la mia bravura Karl Wolff delle SS mi donò il portafoglio»

Gommista dall’età di 13 anni: «Seguivo le auto dei nazisti in servizio nel famigerato Palazzo Ina». Portiere nel Verona: «Il padre di Chiampan voleva cedermi al Crotone. Preferii lo Zevio». A 94 anni legge L'Arena sull'iPad ogni mattina. Ricorda nomi, luoghi, date, vicissitudini. Tranne il flirt che la moglie non gli ha mai perdonato
Dino Castellani, 94 anni, e la moglie Carla Cacciatori, 92, nella loro casa di via Albere. Si sposarono il 23 giugno 1956
Dino Castellani, 94 anni, e la moglie Carla Cacciatori, 92, nella loro casa di via Albere. Si sposarono il 23 giugno 1956
Dino Castellani, 94 anni, e la moglie Carla Cacciatori, 92, nella loro casa di via Albere. Si sposarono il 23 giugno 1956
Dino Castellani, 94 anni, e la moglie Carla Cacciatori, 92, nella loro casa di via Albere. Si sposarono il 23 giugno 1956

Ignoro se la Tim stampi ancora gli elenchi telefonici. Nel caso, per quello di Verona potrebbe risparmiare carta e inchiostro girando agli abbonati il numero di Dino Castellani, 94 anni compiuti lo scorso 18 marzo, ex calciatore nel vivaio del Verona, residente in via Albere con la moglie Carla Cacciatori, 92. La quale, da 70 prigioniera della logorrea del marito, esprime un sogno accompagnato da un sorriso: «Vorìa desmaridàrme. Posso divorziare?».

Tu pronunci un cognome e, di quel tizio, Castellani è in grado di fornirti all’istante indirizzo, professione, vicissitudini, parentele, anzi l’intero albero genealogico. Senza sbagliare un nome, una data, un toponimo. Un incrocio umano tra anagrafe e catasto.
Prendiamo il corso Porta Nuova di prima della Seconda guerra mondiale, per esempio. «Al numero 123 c’era Degani, gommista. Al 127 abitava la famiglia Albarelli, proprietaria dei magazzini del ghiaccio di via San Giacomo; Bruno Massimo Albarelli fu assessore comunale per il Pri negli anni Ottanta. Al 129 c’era l’osteria del padre di Vittorio Giovanelli, mio coetaneo, che ha diretto Rete 4, strappato Raffaella Carrà e Pippo Baudo alla Rai, seguito in giro per il mondo Enzo Biagi, ed è sposato con Maria Teresa Braganza, nata nel rione di San Giovanni in Valle».

Non è finita qui. «Il corso era diviso in due dalle rotaie del tram. Ricordo il garage Italia di Otello Mantovani, imparentato con il ginecologo Elmo Padovani, il cui nipote, Marco, morì tragicamente nel 1985, a 28 anni: non si era mai ripreso dal rapimento avvenuto a Santa Lucia del 1982, più di cinque mesi incatenato al buio in una grotta dell’Aspromonte. L’attuale Grand Hotel era la casa dei Reichenbach, ebrei perseguitati dalle leggi razziali, che commercializzavano il lucido da scarpe dello svizzero Arturo Sutter, padre di Milena, la tredicenne genovese uccisa nel 1971 da Lorenzo Bozano. I fratelli Guidorizzi distribuivano i budini Elah. Falcieri lucidava i mobili».

Sempre in corso Porta Nuova, al numero 11, nel Palazzo Ina, dal settembre 1943 all’aprile 1945 s’insediò il servizio di sicurezza delle SS. Nella prigione furono seviziati e uccisi molti antifascisti. «Non avevo ancora 15 anni, facevo il gommista. Fui obbligato a occuparmi delle auto che i nazisti portavano nel garage di via dei Mutilati, dove oggi c’è la Pam, mentre mio cugino Nino Simonelli, maresciallo dell’Aeronautica che aveva bombardato Malta con un Siai-Marchetti 79, era il meccanico che aggiustava i motori. Per la mia bravura, un ufficiale tedesco mi regalò un portafoglio che recava una sigla con una “w” e due “f”. Era Karl Wolff, generale delle Waffen-SS, plenipotenziario militare del Terzo Reich in Italia». Inviato nel nostro Paese da Heinrich Himmler, il capo della Gestapo che aveva architettato la «soluzione finale della questione ebraica» nei campi di sterminio, Wolff apparve a Castellani come «un uomo molto gentile». S’è poi saputo che ebbe un incontro segreto con papa Pio XII, propiziato da Virginia Bourbon del Monte, madre di Gianni Agnelli, e nell’aprile 1945 negoziò con gli Alleati, all’insaputa di Adolf Hitler, l’Operazione Sunrise, cioè la resa di tutte le forze tedesche in Italia.

Perché sa tutto del corso Porta Nuova di un tempo?
i lavoravo. E da ragazzo facevo parte della banda del Raggio di Sole che il mio amico Giovanelli ha descritto nel libro In guerra senza elmetto.

È nato lì?
o, al numero 7 di via Cappello. Accanto all’ingresso della Casa di Giulietta c’era il panificio dello zio Francesco Simonelli. Sua sorella Maria, mia madre, nata nel 1896, era anche lei pistora. I suoi avevano il forno a Cassone, la frazione di Malcesine dove sgorga l’Aril, 200 metri, il fiume più corto del mondo. Con la gerla in spalla, s’arrampicava sulle pendici del Baldo e portava il pane agli austriaci. Il confine con il Tirolo era a Navene.

Ha aperto il file della memoria.
Anche la mia nonna materna, Margherita Gagliardi, classe 1861, era nata a Cassone. Da lì nel 1885 emigrò negli Stati Uniti, a disboscare il New Jersey, che allora era un’immensa foresta e oggi è la prosecuzione di New York. Alcuni compaesani che erano partiti con lei furono poi assunti come camerieri dai genitori di John, Bob e Ted Kennedy.

Dove frequentò le elementari?
Alle scuole Gregorio Segala, vicino all’Ala dell’Arena, in classe con l’architetto Luigi Calcagni, il futuro assessore che firmò il progetto di restauro della Gran Guardia. Avevamo il maestro Zorzella, mussoliniano della prima ora. Veniva da Asparetto. Si fregiava del titolo «Marcia su Roma, Fascio littorio», una specie di cavalierato. Ti dava certe bacchettate sulle mani... In seconda mi bocciò. Passai in terza perché dovevano sbianchesàr l’aula.

Ne deduco che non ha studiato.
A 13 anni già lavoravo: gommista da Cima, in piazzetta Monte; poi da Motti in via Dietro Listone e da Scaglioni in piazza Santi Apostoli. Quindi droghiere da Morosini in corso Porta Nuova. Alla fine ho messo nel sacco l’Italia.

In che senso?
Per 53 anni sono stato il miglior rappresentante di Napoleone Travagliati, titolare dell’omonima ditta di Grezzana, che produce sacchi di carta per pastifici, mangimifici, cementifici. Andavo dal molino Rieper di Vandoies, in Val Pusteria, a Trapani. I concorrenti avrebbero voluto assumermi. Ma io sono rimasto fedele sino alla pensione, a 73 anni.

E il calcio?
Una passione cominciata a 9 anni. La domenica facevo il raccattapalle nel vecchio stadio Bentegodi, dove fui ammesso grazie a Egidio Menegotti, padre di Enzo, che nel 1955 avrebbe giocato in Nazionale. Lui e mio padre erano amici, frequentavano la stessa osteria di corso Porta Nuova.

Galeotto fu il gotto.
Diventai il portiere dei ragazzi del Verona, dal 1943 al 1948. Ma l’esordio era stato nella Folgore, la squadra dei Santi Apostoli seguita da don Carlo Signorato.

Perché lasciò il Verona?
Il ragionier Giovanni Chiampan, padre di Ferdinando, il presidente dello scudetto, e di Gianni, il baritono, avrebbe voluto vendermi al Crotone. Non me la sentivo di trasferirmi in Calabria. Mentre passeggiavamo in corso Porta Nuova, incrociammo l’imprenditore edile Roberto Bonaconsa, allenatore e presidente dello Zevio. Chiampan combinò con lui la mia cessione. Ma, siccome credeva in me, promise a Bonaconsa un premio di 10.000 lire per ogni centimetro di statura che mi avesse fatto guadagnare in vista del ritorno nel Verona.

Assurdo. Era così piccolo?
Un metro e 70, forse meno. Con la vecchiaia invece di crescere sono calato, non arrivo allo scolapiatti. Giocai nello Zevio per quattro anni.

La pagavano?
Neanche per sogno! Però si dice che sia stato uno dei portieri più forti del Veronese. Ho sfiorato la notorietà.

Chi è stato il miglior allenatore dell’Hellas?
Senz’altro Osvaldo Bagnoli. E prima di lui, dal 1941 al 1942, l’austriaco Karl Stürmer, che aveva guidato fra le altre Wiener Ac, Torino, Lazio e giovanili della Juventus.

E il miglior giocatore?
Guido Tavellin, originario di Legnago. Sono rimasto abbonato al Verona fino a quando ci hanno militato i Bui, i Traspedini, i Bonatti, i Sirena. Poi mi sono stufato.

Non segue più il calcio?
Ero abbonato a Sky e a Dazn. Ho disdetto quando ho cominciato a sentire i compensi scandalosi dei calciatori. Ma come? Campioni del calibro di Luigino Tessaro di Arcole e Iseo Lodi di Belfiore si adattavano a giocare in Sicilia pur di guadagnarsi il pane, e al massimo a fine carriera si costruivano una villetta vicino all’acquedotto di via Bravo, e questi di oggi pretendono milioni di euro? Andiamo!

Quando conobbe sua moglie?
La incontrai nel 1953 al Sirenella, locale della Valdonega, dove mi ero recato con l’amico Franco Salea, ballerino di boogie-woogie. Ragazza meravigliosa. In uno scontro durante una partita, mi erano saltati due incisivi, perciò portavo i denti finti. Quando giocavo, nascondevo l’apparecchio dietro un palo della porta. Quella sera, appena la vidi, mi resi conto d’averlo dimenticato in campo e corsi fino a Zevio con la bici a recuperarlo.

Per non presentarsi sdentato.
Carla era cassiera nella migliore macelleria cittadina, Boresi, in corso Sant’Anastasia. A mezzogiorno andavo ad attenderla con la mia 500 Giardinetta, targata VR 39419. A quel tempo ero molto paziente, la aspettavo anche per un’ora. (La moglie: «Era un bel ragazzetto»). La portai all’altare il 23 giugno 1956, l’anno in cui morì mio padre Giuseppe. A sposarci in Cattedrale fu il parroco, don Guido Santini. Ma la sera prima del matrimonio non mi voleva più. Andai a implorare sua nonna Angela, detta Amalia, affinché le facesse cambiare idea. Abbiamo una figlia, Nicoletta, che è stata insegnante di ginnastica, e una nipote, Alessandra.

Come conobbe Giovanelli?
Frequentavamo il caffè dei Preti. Si trovava in corso Porta Nuova, dove fino a qualche anno fa c’era la farmacia Agli Angeli. Veniva chiamato così perché ci andavano i parroci giunti dalla provincia per le commissioni: la diligenza che li riportava a casa partiva dal vicino stallo agli Angeli. Maria, la sorella di Vittorio, era stupenda. Sposò un italoamericano e andò a vivere in California.

Lui che tipo era?
È sempre stato intelligente. Nessuno di noi immaginava la carriera in tv al fianco di Silvio Berlusconi. Faceva il piazzista di medicinali per la ditta Pavan. Suo cognato, Franco Turrini, vendette l’azienda di macchinari per l’asfaltatura al colosso svizzero Ammann.

Vede ancora qualcuno della banda del Raggio di Sole?
Iè tuti a l’albergo dei du leoni. Al cimitero, ci siamo capiti. Restano vivi Giovanelli, che mi telefona spesso, e Fernando Camerini, ex maresciallo degli alpini, che abita a San Giovanni Lupatoto. L’altra sera ho chiamato Aldo Sterpin in Canada. Abitava in via Cesare Battisti. Vive da tanti anni a Rossland, vicino a Vancouver. Guai se gli anticipo i risultati delle partite del Verona: vuole gustarseli sull’Arena. Giocava nella Libertas, la squadra della Dc fondata nel 1946 da Mario Gavagnin, l’assessore allo Sport che il 21 gennaio 1961 perse la vita a 48 anni, andando a schiantarsi in auto contro un albero.

Ma come fa a ricordarsi tutto?
Leggo molto. Alle 6 passo L’Arena riga per riga, e lo stesso fa mia moglie, ognuno sul suo iPad. Ho tutti i libri di Aldo Cazzullo. Guardo i documentari storici su Youtube. Seguo la tv. Non amo Lilli Gruber, Marco Travaglio e quella presuntuosa di Lucia Annunziata. Ma Indro Montanelli avrà mai detto «c...o» in diretta come ha fatto lei? Non credo.

Per chi vota? Sono un po’ di sinistra. Mio padre, classe 1880, era socialista. Fu preso a calci nel culo da Sandro Bonamici, l’ultimo federale di Verona. Non era per niente buono, Bonamici, sa? Ma il peggiore fu Nicola Furlotti, comandante del plotone d’esecuzione che a Forte Procolo fucilò Galeazzo Ciano e gli altri quattro condannati del Processo di Verona. Vidi don Giuseppe Chiot che andava a confessarli nel carcere degli Scalzi. Un cognato di Furlotti, reduce dalla marcia su Roma, che era stato promosso dal regime alla presidenza dell’Ente comunale assistenza, scappò in Perú, dove, forte dell’esperienza maturata nella mensa per i poveri, aprì un ristorante. Invece Bonamici venne ucciso dai partigiani a Forte Azzano, il 1° maggio 1945, con altri sette fascisti.

Che cosa mangia per mantenersi così lucido? Poco ma di tutto. Metto il peperoncino anche nel caffè. Adoro gli spaghetti. Li cuocio a fuoco spento, dopo averli gettati nell’acqua che bolle. Una tecnica che imparai da Lotti e De Nobili, proprietari del pastificio Quadruvium di Codroipo. Faccio come la madre di Ettore Petrolini, il famoso Gastone, che lei chiama Tone per risparmiare sul gas.

Sicuro di mangiare poco?
Mai consumato panini negli autogrill. Per anni ho girato l’Italia con la Guida Michelin sul sedile accanto al posto di guida. Ero amico di Benito Broggiato, dirigente della «rossa», nato nel rione Filippini, con il quale disputai una partita di calcio in Arena. Sua figlia Anna ha diretto Studio aperto, il tg di Italia 1. Il cugino di Benito, Checco Broggiato, ha lavorato alla Mondadori e ha giocato nell’Audace.

Quindi andava per ristoranti.
Ci vado ancora. Al Dosso a Sandrà per le tagliatelle con i funghi, al Macello a Casteldario per il risotto con il tastasal, da Cirillo a Montegaldella per il baccalà. Collezionavo i piatti del Buon Ricordo. Oggi bevo solo mezzo bicchiere ai pasti, o Prosecco o Bardolino.

Guida ancora?
Certo. Ho consumato 20 auto nella mia vita.

Ha qualche guaio di salute?
Sto benone. A 14 anni Giuseppe Salvatore Donati mi operò all’ospedale di Borgo Trento, durante un bombardamento, per un’appendicite purulenta gangrenosa. Ettore Pretto mi asportò la cistifellea. Michele Conati mi ha impiantato due ginocchi bionici nella clinica San Francesco. Ogni due giorni vedo Guido Perbellini, che fu primario a Zevio e Bovolone. Vado a letto alle 21.30 e dormo beato fino alle 6.

Che cosa pensa dei giovani?
Male, molto male. I genitori sono peggio dei figli, non li educano. Viviamo nel mondo della plastica. Il mio era di carta. I telefonini sono una peste. Non parliamo dei parlamentari: intascano 500 euro al giorno per non fare niente.

Senta, mi dice perché sua moglie vorrebbe divorziare?
Son sbrissià su qualche scorzeta de limón... Ben, ben, alà!

Come ben, ben? L’ha tradita?
Lassémo star. (La consorte, per nulla reticente: «Un giorno ricevo una telefonata anonima: “Mi dispiace per lei, signora”. Era una sua impiegata che avrebbe voluto prendere il mio posto, si rende conto? Purtroppo ho sempre avuto poca fiducia in me stessa»).

Ha sentito? Come si difende?
Cose lontane... Era il 1972. Non l’avrei mai lasciata.

Ma lo scopo della vita qual è?
Arrivarci in fondo.•.

Stefano Lorenzetto

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