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L'anniversario della tempesta del 2018

Vaia, il gigante di acqua e vento che in un attimo ha spazzato via boschi e strade

Il devastante maltempo di fine ottobre del 2018 colpì soprattutto le province di Belluno e Trento, ma ci furono danni anche in quelle di Vicenza, Verona, Brescia, Bolzano e Udine
I boschi distrutti da Vaia nella zona di Asiago
I boschi distrutti da Vaia nella zona di Asiago
VAIA, VENETO IN GINOCCHIO

Fra il 26 e il 30 ottobre 2018 una fortissima ondata di maltempo devastò le aree montane a cavallo fra Veneto e Trentino Alto Adige provocando diverse vittime (alcune immediatamente, altre nei giorni successivi) e danni incalcolabili alle infrastrutture e ai boschi delle Dolomiti. Alla tempesta venne successivamente dato il nome di Vaia. Si usa il termine tempesta, anche se la forza dei venti fu maggiore: raggiunsero il grado 12 della scala di Beaufort, grado raggiunto il quale si può parlare di uragano.

Le province più colpite furono quelle di Belluno e Trento, ma ci furono danni anche in quelle di Vicenza, Verona, Brescia, Bolzano e Udine.

 

Le fortissime raffiche di vento

In quei giorni una perturbazione di origine atlantica portò un vento di Scirocco con fortissime raffiche accompagnato da piogge persistenti. Le raffiche di vento, che raggiunsero anche i 200 chilometri all'ora, provocarono la caduta di milioni di alberi, che poggiavano su un terreno reso instabile dalle fortissime piogge. 

L'Arpav (agenzia regionale per la protezione ambientale del Veneto) misurò nei primi tre giorni fino a 715,8 mm di pioggia, superando i dati della devastante alluvione del 1966. 

 

I danni

Stando a quanto riporta la regione Veneto, venne spazzata via una superficie boschiva pari a 70.000 campi da calcio, abbattendo oltre 15 milioni di alberi. I danni arrecati dall’impressionante potenza del vento, che soffiava fino a 200 km orari, sono stati quantificati in una cifra vicina ai tre miliardi di euro.

Sono crollate case, strade, ponti e sono stati abbattuti innumerevoli tralicci, lampioni e antenne. Sono rimasti a lungo isolati, senza elettricità e senza possibilità di essere raggiunti diversi paesi. Isolati ospedali, scuole e ferrovie chiuse. Alcuni laghi sono stati interrati e opere naturali come i Serrai di Sottoguda sono andati distrutti.

In quei giorni l'eccezionale portata del fiume Adige spinse le autorità ad aprire la galleria Adige-Garda, 18 anni dopo l'ultima volta, per evitare che il fiume tracimasse, riversando parte delle sua acque nel Lago.

 

I morti causati dalla tempesta Vaia

La stima dei morti, diretti o indiretti, causati da Vaia, è di cinque persone. In Veneto ci fu un morto nelle primissime ore, un padovano schiacciato da un platano a Feltre, al quale seguirono un uomo scivolato in un torrente a Falcade e un'anziana di Selva di Cadore travolta da un albero nel bosco.

In Trentino perse la vita un vigile del fuoco impegnato nei soccorsi e un uomo impegnato per dei lavori sul tetto rotto dalla tempesta.

Diversi incidenti avvennero in seguito nei numero cantieri sorti nei boschi negli anni successivi per raccogliere gli alberi abbattuti dalla tempesta e liberare strade e sentieri.

 

Perché la tempesta Vaia si chiama Vaia

La signora Vaia Jakobs, manager tedesca del settore materassi, forse ignora quante volte il suo nome di battesimo sia stato citato negli anni in Veneto. E noi ignoriamo se il regalo che all'epoca le fece il fratello sia stato davvero gradito.

Perché fu con il suo nome che venne rinominata la tempesta  L'Istituto di Meteorologia della Università libera di Berlino fin dagli anni '50 del secolo scorso dà infatti la possibilità, previo pagamento, la possibilità di dare un nome a uno specifico evento meteorologico. Il fratello della signora Jakobs scelse, forse ignaro della sua portata, quello capitato in quei giorni. Ed è così che è stato assegnato il nome Vaia.

 

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Di seguito l'articolo pubblicato su L'Arena il 2 novembre 2018

 

di Riccardo Verzè, inviato a Gosaldo (Bl)

Salendo da Agordo verso il Trentino lo scenario è apocalittico: gli alberi abbattuti sono più di quelli rimasti in piedi, pali della luce piegati a metà, strade crollate, guard rail sfondati e cavi elettrici sospesi a pochi metri dall’asfalto. Uno dopo l’altro, scorrono paesi rimasti al buio: Voltago, Frassenè, Gosaldo. Gli unici squarci nella notte sono quelli prodotti dai generatori portati nei municipi o nei pochi luoghi di incontro.

Ma da qui non arrivano immagini o racconti. Da oltre 72 ore non è possibile alcuna comunicazione: la tempesta, con i boschi e i tralicci, si è portata via anche ogni velleità di contatto con il mondo.

Come nel 1966 anzi, peggio. Migliaia di persone isolate, un’area vastissima senza elettricità e linee telefoniche da lunedì pomeriggio e con la maggior parte dei collegamenti stradali interrotti. L’Agordino è forse l’area del Veneto che ha subito i maggiori danni dal maltempo che ha colpito l’Italia. Dopo un giorno di tregua, ha ricominciato a piovere fitto, con la quota neve che sì è abbassata a 1.500 metri.

Se 52 anni fa i torrenti ingrossati avevano trascinato con sé intere frazioni, questa volta alla furia dell’acqua si è aggiunta quella del vento, che lunedì notte si è impadronito delle valli, scoperchiando tetti e abbattendo migliaia di alberi, che a loro volta hanno abbattuto stalle, spezzato tralicci e invaso strade. Solo le infrastrutture costruite nel tempo hanno potuto evitare la catastrofe: oggi gli argini sono più alti e i corsi d’acqua imbrigliati. Lo spopolamento della montagna ha concentrato le persone nelle zone meno fragili del territorio.

Si è registrata una vittima, a Falcade, mentre più in basso il Cordevole ha eroso gli argini facendo crollare strade e case. Decine di frazioni, spesso abitate da anziani, sono isolate. Croce Rossa, Protezione Civile, Genio militare, carabinieri e Vigili del Fuoco lavorano senza sosta nei 16 comuni della Comunità montana, portando medicinali, cibo e benzina per i generatori.

Al municipio di Gosaldo, dal quale riusciamo a scrivere grazie a un hot spot d’emergenza, arrivano le notizie delle frazioni da liberare e di quelle da evacuare. «Sono crollati i ponti nella strada che porta a Rivamonte», dicono: ma prima di poter controllare, va superato il muro impressionante di alberi abbattuti sulla strada. Nelle case, intanto, si va avanti con la luce delle candele e il tepore delle stufe, come una volta. L’elettricità tornerà la prossima settimana, si ipotizza e si spera.

Attorno, le Dolomiti sono imbiancate. Qui è già inverno. Bisogna fare in fretta, prima che la neve renda più difficile tornare alla vita.

 

 

Gosaldo, l'intervista al sindaco Giocondo Dalle Feste dopo Vaia (di Riccardo Verzè)

 

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