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Piovene Rocchette

«Io, nipote di Giovanni Paolo I. Il Papa che amava i santi umili»

Amalia Luciani aveva 23 anni quando lo zio è diventato Papa. Ha lavorato come ostetrica fino al 2015 a Santorso(Foto COGO)
Amalia Luciani aveva 23 anni quando lo zio è diventato Papa. Ha lavorato come ostetrica fino al 2015 a Santorso(Foto COGO)
Amalia Luciani aveva 23 anni quando lo zio è diventato Papa. Ha lavorato come ostetrica fino al 2015 a Santorso(Foto COGO)
Amalia Luciani aveva 23 anni quando lo zio è diventato Papa. Ha lavorato come ostetrica fino al 2015 a Santorso(Foto COGO)

È il giorno della beatificazione di papa Giovanni Paolo I. Un evento che parla anche vicentino visto che la nipote Amalia, nata 67 anni fa a Canale d'Agordo, nella stessa casa dove nel 1912 era nato lo zio Albino Luciani, alla fine degli anni '70 si è trasferita a Piovene dove vive con il marito. Ha due figli e tre nipotini. Oggi, domenica 4 settembre, è in piazza San Pietro alla destra dell'altare, accanto alle autorità. «Sono emozionatissima» ha raccontato appena arrivata a Roma. Calcando su quell'"issima" che, detto da lei, persona schiva, esprime il turbine di emozioni. La causa di canonizzazione del "papa del sorriso", eletto pontefice il 26 agosto 1978, dopo Paolo VI e morto improvvisamente dopo 33 giorni, venne aperta nel 2003 nella cattedrale di Belluno e si chiuse nel 2017. Con decreto del 13 ottobre 2021 è stato riconosciuto da papa Francesco il miracolo di una guarigione attribuito all'intercessione di Giovanni Paolo I.

Dai racconti emergono frammenti di una vita semplice, eppure, da sempre, permeata di intensità. «Avevo 23 anni quando mio zio è diventato Papa - racconta Amalia - per chi lo conosceva non è stata una sorpresa. La sorpresa è stata il fatto che abbia accettato, soprattutto per mio padre, che oltre a fratello, era suo amico intimo: si raccontavano cose che non dicevano a nessuno». Ed ecco racconti forti: «Alla fine del 1977 mio zio era andato a Fatima, con la diocesi. Lucia, una delle veggenti, ha chiesto di incontrarlo e, dopo quel colloquio era molto scosso. A marzo dell'anno successivo il parroco di Canale gli ha chiesto di fare il quaresimale da noi e l'abbiamo avuto a cena. Era serio e, per due sere di fila, ha detto a mio padre: "Ti ho detto che sono stato a Fatima e che Lucia ha voluto parlarmi a tutti i costi e non mi lasciava più andare?" ma se mio padre chiedeva di cosa ha parlato cambiava discorso, diceva quanto era buona la minestra». Un segreto che si è portato nella tomba salvo un paio di dettagli: «Quando l'ha visto l'ha chiamato "santità", dicendo: "accetti, tanto sarà per poco". Poi, a fine settembre, mio padre è partito per l'Australia. Prima di quel viaggio sono riusciti a fare colazione insieme e lo zio l'ha rincorso, per abbracciarlo. Cosa rara perché in famiglia non ci siamo mai manifestati l'affetto con i gesti. Col senno di poi, mio padre ha capito che sapeva».

E la sensazione che "sapesse" Amalia l'ha colta, a posteriori, anche in occasione dell'ultima catechesi in aula Paolo VI: «Quando qualcuno ha gridato "lunga vita al Papa" lui ha fatto una smorfia». Su quella morte improvvisa e per certi versi avvolta nel mistero, anche perché non è stata fatta un'autopsia, ci sono state molte illazioni. Ma, da donna di medicina (ha lavorato come ostetrica fino al 2015 all'ospedale di Santorso) Amalia trova una spiegazione nella storia di famiglia: «Mio padre è morto nella stessa maniera, anche se lui aveva quasi 91 anni. Era in ospedale, in unità coronarica e se n'è andato durante la notte. Io stessa sono in terapia per il ritmo cardiaco e una mia sorella ha fatto un infarto, silente, all'età in cui mio zio ci ha lasciato. Lui prendeva farmaci, ma non aveva niente di grave. O almeno non risultava dalle carte mediche. Aveva invece tanta paura della tubercolosi perché il nonno, in prime nozze, aveva sposato una cugina morta di tubercolosi, e anche i figli nati dal secondo matrimonio avevano questo spauracchio».

«Un po' di paura della morta lo zio ce l'aveva - rivela la nipote - ma diceva che se anche una persona dovesse morire da sola, in un bosco, avrebbe Gesù vicino». Amalia ha poche foto con lo zio «Allora non ci usava», ma tanti ricordi, vivi: «Quando andavo in basilica a San Marco non si sentiva una mosca volare e lo si sentiva benissimo, nonostante il filo di voce». Il giorno in cui il patriarca Albino Luciani è diventato papa Giovanni Paolo I lei era a Trieste: «Avevo un gran mal di testa - racconta - sono rimasta davanti al televisore fino a quando non hanno detto che il papa era Albino Luciani. Non mi sono meravigliata che sia stato scelto lui come pastore della chiesa». E poi i ricordi più intimi: «Non veniva tante volte a trovarci, ma era lo zio perfetto: e se non aveva nulla da portarci apriva il portafoglio, chiamava il più piccolo di noi e gli diceva "siamo amici, vai a prendere il gelato per te e tutti i tuoi fratelli". Una volta mi ha dato 50 mila lire perché comprassi un libro quasi a dire "non stancarti mai di imparare"».

Amalia ricorda ogni dettaglio della prima udienza con la famiglia: «Prima ha incontrato il fratello e la sorella, poi la famiglia allargata e ha avuto una parola per ognuno di noi. Mi pare ancora di sentirlo che mi tiene il polso, come se volesse dirmi: "Anche se me ne vado, ci sarò sempre a benedirti". O il segno della croce che mi faceva sulla fronte prima di salutarci dicendo "sii sempre buona". Lui aveva la capacità di far sentire speciale ogni persona che incontrava. Penso che se avesse avuto una famiglia sarebbe stato uno dei migliori genitori, ma è meglio che non l'abbia avuta, perché il mondo intero ha potuto conoscere la sua grandezza». In oltre 40 anni le è capitato spesso di sognarlo: «L'ho visto sorridente, qualche volta accigliato. Ci sono tante cose che preoccupano, anche la sensazione che qualcuno tenda a voler svuotare le chiese, invece di riempirle. Ma quello che conta è l'emozione che vivo adesso, molto più forte di 44 anni fa. Il suo motto era "state bassi, non mettetevi in mostra" e ora capisco che in questo processo di beatificazione rappresenta tutti i santi umili che non verranno mai messi sull'altare. In questa giornata porterò nel cuore tutte le mamme che ho aiutato a partorire e i bambini che ho visto nascere». E una raccomandazione per i suoi tre nipoti: «Sono tutti agitati perché siamo a Roma per il pro pro zio. Noi in famiglia l'abbiamo sempre chiamato così. Quando fanno le marachelle dico: dovete fare i bravi, non fate fare brutta figura a vostro zio».

Bruno Cogo e Marialuisa Duso

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