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L'intervista

Emergenza medici di base, Zaia: «Spazio anche ai pensionati. E indennità a chi va in territori "estremi"»

Un medico di base al lavoro
Un medico di base al lavoro
Un medico di base al lavoro
Un medico di base al lavoro

Il presidente della Regione, Luca Zaia, è uomo di numeri. E la sintesi della sintesi, quando gli si chiede che cosa può fare la Regione per fronteggiare l’emergenza dei medici di base - con migliaia di cittadini del Veneto senza assistenza - non ci gira attorno. Ma fa una premessa: «I medici di base sono la colonna portante della sanità, elemento imprescindibile. Sono un valore, perché nel funzionamento del servizio territoriale si rispecchia, nel bene e nel male, tutta la catena successiva del servizio sanitario. Solo un irresponsabile, dunque, può pensare che i medici di base siano un problema e non, invece, un punto di forza».

Presidente Zaia, che cosa si può fare, contro questa emergenza?

Ci vogliono anzitutto i medici di base. Noi nelle graduatorie dei posti ne abbiamo 607, ma, legittimamente, scelgono altri tipi di incarichi. Nei prossimi tre anni ne avremo altri seicento, che tamponeranno l’emergenza.

Da dove partiamo, nel capire dove sta andando la Regione Veneto, su questo fronte delicato?

Ovvio che noi viviamo un problema grave medicina di territorio, che sta boccheggiando ed è un problema nazionale, dovuto al ricambio generazionale. Il divario tra i medici che lasciano l’attività e i disponibili a entrare è enorme. Poi c’è un problema di programmazione.

In concreto?

Intanto questo tema riguarda tutti i medici. Ma restiamo a quelli di base. Nelle graduatorie regionali, nel 2021, erano 663 in graduatoria ma non avevano dato la disponibilità, compresi quelli in zone carenti di assistenza. Nel 2022 invece 607. Noi nel 2022 ne abbiamo assunti 101 e ce ne servirebbero appunto 607. Sono iscritti alle liste e se tutti accettassero l’incarico, noi saremmo a posto.

E invece?

Sono in un mercato di libera professione, e non dipendenti, e in un mercato nel quale è più la domanda dell’offerta c’è la possibilità di scegliere. Oggi uno che tra l’andare in un paese sperduto o di montagna a fare il medico di base o l’assumere un altro tipo di incarico vicino a casa, può farlo. Ed è comprensibile».

Rimedi?

Andrebbe riconosciuta un’indennità accessoria a quanti, invece, accettano l’incarico in territori “estremi”. Ma noi non siamo in grado di pagarla, ora. C’è anche un problema più generale, però.

Quale?

Per fare il medico di base uno deve laurearsi in medicina, e poi abilitarsi, in un corso di tre anni.

E quanti sono gli iscritti e frequentanti, ora?

Sono 612. Al primo anno 292, al secondo 115, al terzo 205. Quindi, considerando il terzo anno, ai 607 già medici che sono in graduatoria ma non accettano l’incarico se ne sommano 205, l’anno dopo altri 115 e quindi 292. Perciò a medio termine i numeri ci dicono che avremo un numero di 612 medici che andranno a tamponare il ricambio di quei 607. E noi il 27 maggio di quest’anno abbiamo fatto una legge, la 12, che diceva di inserire ai lavoro gli specializzandi al terzo anno, con tutoraggio, per tamponare anche attività ospedaliera e medicina di base. Ma il governo uscente ha impugnato la norma e ci è stata vietata questa attività. Siamo in Corte costituzionale. Mi lasci però dire una cosa.

Cioè?

Una volta non c’era la specializzazione e ci si formava nelle corsie d’ospedale. Oggi siamo all’estremo che non si può far lavorare un medico finché non si è specializzato. La virtù sta nel mezzo.

Conseguenze della bocciatura della legge regionale?

Con questa legge, sia per il territorio che per gli ospedali, noi avremmo potuto pescare da quei 205 che frequentano il terzo anno di corso per medicina territoriale, dando loro ambulatori non si 1.500, ma di un migliaio di mutuati. E sarebbe stata una soluzione. C’è poi anche un aspetto economico.

Quale?

Abbiamo ottenuto l’accordo con i sindacati per dare 100 all’euro all’ora di straordinario per ospedaliero, per capirci a un medico di Pronto soccorso, e poi ricordo che durante il Covid abbiamo dato fondo a tutte le possibili assunzioni. Abbiamo assunto 4.500 sanitari, non tutti medici certo, in pianta stabile. Comunque, abbiamo una carenza di 607 medici, a fronte di un organico attuale di 2.783 assunti titolari di ambulatorio. E non tutti hanno 1.500 pazienti. E 517 sono pediatri di libera scelta.

 

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Presidente, una decina di anni fa la Fimmg, la Federazione dei medici di medicina generale, avvertiva che tra 2016 e 2026 ci sarebbero stati moltissimi pensionamenti, ma non si è corsi ai ripari. Perché?

Erano appelli che facevo anche io, aggiungendo poi il tema dell’ospedaliero. Dal primo giorno di presidenza avvertivo che avremmo avuto carenza di medici e ricordo che nell’estate 2018 volevo far lavorare quelli neolaureati abilitati, non ancora specializzati: erano trecento giovani medici. Ebbene, venne giù il mondo di polemiche contro di me. E sono gli stessi che dopo noi abbiamo “santificato” e si chiamavano Usca...Ecco, nel 2018 dicevano che Zaia metteva a repentaglio la salute dei medici, nel 2019 si pregava che uno di questi medici venisse nelle case. Comunque, ripeto, noi abbiamo 607 medici che non scelgono la medicina territoriale. Dopo di che non ho la bacchetta magica. E vorrei aggiungere un particolare.

Cioé?

I medici di base lo diventano dopo tre anni di formazione, ma in generale sono persone che escono dal numero chiuso delle università, il vero problema all’origine. E io, anche qui, sono stato massacrato per aver detto, e lo confermo, che il numero chiuso all’università va eliminato.

Perché?

Perché stiamo selezionando i futuri medici facendo fare i quiz a 19 anni, mentre dovremmo portarli in corsia o in sala operatoria. E il numero chiuso delle università è sottodimensionato rispetto alla necessità di medici che c’è. E in un’offerta sottodimensionata, quei 607 medici di cui abbiamo parlato scelgono di andare a fare anche altro. Oggi uno è libero di scegliersi il posto migliore e non c’è nemmeno il problema del concorso.

L’Enpam, l’ente previdenziale dei medici, a Roma ha proposto, a chi vuole, di proseguire fino a 72 anni, rispetto ai 70 in cui i medici sono obbligati a smettere. La Regione Veneto può supportare questa proposta?

Ricordo che se c’è una norma dei 70 anni è grazie a una mia proposta, da me portata avanti in autonomia quando c’era il Covid. Quindi sono a favore, dei 72 anni, purché non sia un palliativo per mettere in difficoltà i giovani. Poi, è giusto, ma nella dimensione in cui c’è un problema sul mercato. Terzo, deve essere una scelta volontaria, perché non dobbiamo arrivare al paradosso che i giovani non lavorano più perché lavorano gli anziani.

 

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Azienda Zero ha messo in campo misure temporanee, come l’aumento dei massimali, il coinvolgimento degli specializzandi, la guardia medica: ma la politica che cosa sta facendo per il lungo periodo?

A livello nazionale non vedo nulla di costruttivo. Ma prendo ad esempio il caso estremo dell’Olanda, che non è quello che vogliamo noi: ebbene, a un medico di base là danno tremila mutuati, il doppio dei nostri, il sistema è tutto pubblico e addirittura c’è il Cup per prenotare. Credo allora che da noi il governo debba legiferare, d’accordo con i medici, per garantire il rispetto delle professionalità, ma al tempo stesso essendo molto proattivo.

Che cosa significa?

Che nelle sedi disagiate i medici di base devono avere un riconoscimento aggiuntivo, non perché i medici siano dei mercenari, ma perché oggettivamente costa di più lavorare in una sede disagiata. La Regione Lombardia ha previsto affitti agevolati per chi apre ambulatori nei complessi di case popolari, tipo quelle dell’Ater.

È possibile anche in Veneto?

Il tema è che bisogna avere i medici. Ma ricordo che il Veneto è l’unica Regione italiana che non fa pagare tasse, Irpef compresa, per un miliardo 169 milioni all’anno. Altre Regioni si vantavano di dare, durante il Covid, un premio di mille euro ai medici: ma io ho calcolato che in cinque anni avevano tolto loro cinquemila euro di Irpef. Che qui non si paga.

Case di comunità: si prevedono investimenti sulle strutture; e sui servizi, medici di base compresi?

Sì, noi dobbiamo essere disponibili a tutto. Dove la medicina di gruppo funziona, bene. Ma in Veneto il Comune medio è di 4.000 abitanti e gli anziani, chi non guida, o non ha figli, ha ancora bisogno del medico vicino. Quindi dobbiamo mixare tutte le soluzioni possibili.

Si potrebbero affidare certe mansioni a segretarie, per sburocratizzare, o a infermieri?

Lo si fa già. Però la burocrazia non è veneta, ma nazionale. E ormai il medico non ha più l’ultima parola. Fuori dagli ospedali ci sono gli studi legali per i danni sanitari. E quando c’è una contestazione la carte devono essere perfette.

Presidente Zaia, in conclusione. Tanti cittadini del Veneto non hanno il medico di base, ora. Che si fa?

Seicento medici, come detto, fanno altro, e non è una colpa. Altri seicento arriveranno in tre anni. E tamponeremo. Poi servono scelte e norme nazionali.

Enrico Giardini

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