Dall’estero piovono contratti di lavoro da favola per i medici del Veneto, amati a tal punto da essere oggetto di vere e proprie campagne di reclutamento che sono sotto la lente della sanità regionale. Per accaparrarsi i nostri camici bianchi, gli ospedali stranieri non badano a spese: offrono la casa, la retta scolastica dei figli, un tutor linguistico e, soprattutto, uno stipendio anche doppio a fronte di un terzo delle ore.
Andrea Rossi, 41 anni, geriatra dell’Azienda ospedaliera di Verona e vicesegretario di Anaao Veneto, racconta di una proposta del 2017 da parte della Global Executive Solution, una delle più grandi agenzie di cacciatori di teste al mondo. «Serviva», spiega, «un consulente specialista in Geriatria da inviare nel Norfolk», contea dell’Inghilterra orientale. «Per 15 ore settimanali, contro le 45-50 che faccio, lo stipendio si aggirava fra le sei e le ottomila sterline al mese», grossomodo fra i sette e i novemila euro. Il pacchetto comprendeva un posto di docente all’università locale e «con quell’impiego», sottolinea Rossi, «sarei arrivato a 150mila sterline l’anno», che corrispondono a 170mila euro. «Più del doppio rispetto a quanto guadagno ora». Non è tutto. Sul piatto «c’erano altre 20mila sterline per il "disturbo" di trovarmi una sistemazione, fintantoché l’ospedale non m’avesse fornito la casa». Insieme all’incentivo per la scuola dei bambini, era la proverbiale offerta che non si può rifiutare. «Se m’avessero intercettato quand’ero precario, avrei detto di sì», ammette Rossi. «Oggi porto avanti anche attività di ricerca, mia moglie lavora come medico di medicina generale e abbiamo tre figli. Parlandone, abbiamo convenuto che non fosse il caso».
Per lui è andata così. Ma la questione della fuga all’estero dei giovani dottori è nell’agenda della sanità regionale, poiché si somma al problema della penuria di medici per effetto del turnover bloccato e dell’imbuto fra i laureati in Medicina (11mila l’anno in Italia) e i posti disponibili nelle scuole di specialità (settemila). Il direttore generale Domenico Mantoan e i sette presidenti degli Ordini dei Medici chirurghi e Odontoiatri del Veneto ne hanno discusso non più tardi di lunedì, a Padova.
Il numero uno dell’Ordine di Verona, Carlo Rugiu, spiega di aver firmato 14 certificati di onorabilità professionale per altrettanti iscritti che nel 2018 sono andati a lavorare in un Paese fuori dall’Europa. Erano stati dieci nel 2017 e quattro nel 2016. Sono 20, invece, i medici veronesi che hanno comunicato la residenza all’estero alla segreteria dell’Ordine. In entrambi i casi, le cifre non bastano a dare la misura del fenomeno. Da un lato, perché se il medico si trasferisce in uno Stato membro dell’Unione, il cosiddetto «good standing certificate» con cui si attesta che non vi sono impedimenti penali per l’esercizio della professione viene rilasciato esclusivamente dal ministero della Salute. Dall’altro, perché non tutti gli espatriati cambiano la residenza o si ricordano di notificarlo. «È per la loro formazione», sottolinea Rugiu, «che i medici italiani sono apprezzatissimi all’estero. Si stima che la comunità investa nella loro formazione circa 150mila euro pro capite. Peccato che poi se li lasci scappare via».
A contenderseli «sono principalmente Inghilterra, Francia, Germania e Svizzera». I più richiesti? «Ortopedici, pediatri, ginecologi e anestesisti». Di contro l’Italia, «dove un tempo arrivavano professionisti da Grecia, Slovenia e Croazia, oggi accoglie soprattutto medici lituani e ucraini».