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il caso

Ilaria Salis in catene nel tribunale di Budapest «trattata come un cane»

Rabbia del padre, mentre il ministro Nordio anticipa «il ricorso a tutti i canali diplomatici per attenuare il rigore detentivo»
Ilaria Salis in aula con le catene
Ilaria Salis in aula con le catene
Ilaria Salis in aula con le catene
Ilaria Salis in aula con le catene

Tirata con le manette attaccate a un cinturone da cui partiva una catena che proseguiva fino ai piedi, con una guardia che la tratteneva con un'altra catena di ferro; e così è rimasta per tre ore e mezzo. Ancora choc e orrore per Ilaria Salis, la 39enne milanese detenuta in Ungheria da quasi un anno perché accusata di aver aggredito due estremisti di destra nella capitale ungherese. 

Ingresso shock nell'aula del tribunale

Il racconto del suo ingresso ieri nel tribunale a Budapest per la prima udienza del processo lascia senza parole.

«È stato choccante, una immagine pazzesca. Ci aveva detto che veniva sempre trasferita in queste condizioni ma vederla ci ha fatto davvero impressione», ha riferito Eugenio Losco, uno dei suoi avvocati presenti in aula. Poi la rabbia del papà Roberto: «Mia figlia viene trattata come un animale».

Un'immagine che spinge il ministro Tajani a invitare la Ue «a vigilare sui diritti» e viene convocato l'ambasciatore ungherese «per un passo di protesta» .

Il ministro Nordio: «Ci stiamo attivando»

Il ministro Nordio, davanti a quella che definisce «una fotografia molto dura», spiega: «Ci stiamo attivando attraverso i canali diplomatici, facendo tutto il possibile per attenuare le condizioni rigorose in cui è detenuta». La donna dovrà rimanere ancora a lungo in cella, visto che la prima udienza è stata aggiornata al 24 maggio.

L'accusa

Lei, accusata di aver aggredito due estremisti di destra nella capitale ungherese, si è dichiarata non colpevole. Scelta diversa per un altro coimputato tedesco, che si è dichiarato colpevole e è stato condannato a 3 anni di reclusione.

Nell'aula era presente anche un funzionario della nostra ambasciata e oggi i legali e suo padre Roberto avranno un incontro con l'ambasciatore italiano a Budapest. «Adesso lo Stato italiano non può davvero più continuare a ignorare una situazione carceraria e processuale che vìola le nostre leggi», ha detto l'avvocato Losco.

Anche perché «Ilaria si è dichiarata non colpevole ma ha spiegato di non aver mai potuto leggere gli atti, che non le sono stati mai tradotti, e di non aver ancora visto le immagini su cui si fonda l'accusa. E quindi ha riferito di non poter presentare nessuna memoria, cosa che è ammessa nel processo ungherese». Per questo, ha insistito, «Ilaria deve essere trasferita ai domiciliari in Italia».

L'interessamento della Ue

Un possibile spiraglio viene dall'Ue: il commissario alla Giustizia Didier Reynders ha fatto sapere che «la Commissione è sempre disponibile ad aiutare nel quadro di questi contatti bilaterali che sono stati presi dall'Italia con l'Ungheria». Poi è tornato a far sentire la sua voce il ministro degli Esteri e vicepremier Antonio Tajani: «Chiediamo al governo ungherese - ha scritto su X - di vigilare e di intervenire affinché vengano rispettati i diritti, previsti dalle normative comunitarie, della cittadina italiana Ilaria Salis detenuta in attesa di giudizio»

Ieri mattina in tribunale - dove oltre alla Salis erano presenti altri due coimputati, un uomo e una donna tedeschi - la pm ha presentato Ilaria come l'imputata principale, che avrebbe partecipato a più aggressioni causando lesioni fisiche aggravate, in «associazione per delinquere» con due persone.

Il magistrato poco prima aveva esposto l'atto di accusa secondo il quale gli imputati farebbero parte di un'organizzazione estremista di sinistra, formata in Germania, che, oltre partecipare a manifestazioni e dimostrazioni, avrebbe pianificato aggressioni fisiche contro simpatizzanti di estrema destra di ideologia neonazista e neofascista. Dalla politica sdegno e rabbia: per il dem Piero Fassino le catene «violano ogni norma di civiltà e le convenzioni internazionali sul rispetto che si deve alle persone detenute».

Paolo Teodori

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