<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
L'appuntamento

Canova: «Fellini? Incompreso. L’eros nella dimensione onirica»

Canova su Fellini (video Brusati)

Il regista italiano più famoso è anche il più misterioso, misconosciuto e spesso incompreso. E anche le scene più famose da lui girate – per esempio, Anita Ekberg nella Fontana di Trevi – rivelano particolari inediti, in grado di ribaltare impressioni e giudizi. Federico Fellini – nel centenario della nascita – viene così sezionato, analizzato, psicanalizzato e infine esposto al pubblico del Festival della Bellezza, durante la «lectio» di Gianni Canova, critico cinematografico e docente. Nell’appuntamento al Teatro Romano per il Festival ideato da Alcide Marchioro di Idem e organizzato insieme al Gruppo Athesis, incentrato su «Eros e bellezza», Canova ha mostrato come il cinema di Fellini sia «ispirato da Eros senza produrre però reazioni erotiche».

 

IL SOGNO. Al di là di quello che potrebbe pensare chi immagina le opere felliniane piene di donne enormi, pettorute, con forme giunoniche, ipersessuate, il cinema di Federico è «an-erotico, pieno di seni ma casto». Perché, studiando Jung, Fellini ha capito che la vita è sogno; anzi, tutto è sogno e la dimensione onirica è la chiave possibile per entrare nel mistero di Eros. L’uomo di fronte al mistero dell’eros «è ombra, solo un’ombra», dice Canova, «davanti alla figura enorme, morbida ma invadente della donna. Una femmina che è mondo, una Grande Madre dal corpo così espanso da sovrastare il maschio».

 

IL TRATTO CUBISTA. A sconfessare un Fellini neorealista o tardo neorealista, com’era stato per certi versi prima degli anni ’60, arriva «La dolce vita». A chi gli chiedeva cosa rappresentasse per lui questo capolavoro del 1961, lui rispondeva: «Volevo fare un ritratto cubista di Roma». Anche qui la donna è in una dimensione onirica, spesso angelicata. Come Anita Ekberg che entra nella Fontana di Trevi e chiama Mastroianni («Marcello, come here, hurry up!», vieni qui, sbrigati). Ma poi cosa fanno i due (bellissimi in un bianco e nero stile Canova, ma scultore) in una scena entrata nel mito come simbolo dell’amore italiano, della passione e di uno stile di vita? Si baciano? No, Marcello sfiora Anita, le dice «Ma chi sei?», rapito dalla sua bellezza, e lei prende dell’acqua dalla fontana e la fa cadere sul suo capo: lo battezza. Le labbra si avvicinano e lei dice «Listen, ascolta…», mentre l’acqua si ferma, la notte scompare e il sogno finisce. Il giorno entra a squarciare il viaggio onirico in una Roma deserta. Canova (il critico) annota tutto questo e anche altri due baci mancati della coppia Mastroianni-Ekberg: «La dimensione sensuale è pura, lui sfiora lei e non la tocca. Perché ogni donna di Fellini è sempre in una dimensione onirica; il sogno è la porta per capire Eros». Ed è anche per questo che Fellini (specie quello di «8 ½», «La città delle donne» e «Casanova») continua a interrogare gli spettatori. All’inizio della serata, un paio di momenti felliniani; un omaggio alle sceneggiature oniriche del Maestro: mentre Canova parlava, il rumore assordante di un paio di sirene – i soccorsi per un uomo caduto in Adige, a pochi metri dal Romano; poi un pipistrello gigante, in volo sulla platea.

Giulio Brusati

Suggerimenti