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Virtus Verona

Faedo, il difensore-ingegnere: «Il calcio non è la mia ossessione. Per quello mi diverto»

Dinamico - Carlo Faedo in azione nel derby pareggiato col Vicenza FOTOEXPRESS
Dinamico - Carlo Faedo in azione nel derby pareggiato col Vicenza FOTOEXPRESS
Dinamico - Carlo Faedo in azione nel derby pareggiato col Vicenza FOTOEXPRESS
Dinamico - Carlo Faedo in azione nel derby pareggiato col Vicenza FOTOEXPRESS

Ingegnere e calciatore. Vite parallele. Alla fine, la stessa vita. Carlo Faedo è una delle favole generate dalla Virtus. Con Gigi Fresco tutto è possibile. Carlo, veronese classe 1999, è piombato tra i professionisti con leggerezza. Senza assilli, senza paure. Sono lontane le stagioni passate nelle giovanili dell’Hellas. Belfiorese e San Martino le società che lo hanno forgiato tra i dilettanti. In tasca una laurea triennale in Ingegneria Chimica e dei materiali. Tra due anni, al massimo, conta di chiudere la magistrale. Oggi Faedo, centrale difensivo di muscolo ed intelletto, è una delle piacevoli certezze della Virtus.

Faedo, il segreto della Virtus?
«Un viaggio di umiltà e consapevolezza. Sappiamo chi siamo. Lo abbiamo capito lo scorso campionato».

La piccola rivoluzione estiva pare non avere cambiato nulla
«No, perchè ci divertiamo conosciamo il nostro valore. Trasmettiamo ai nuovi la filosofia Virtus. Obiettivi? Fare meglio dell’anno scorso. Credo che questa squadra possa alzare l’asticella. Quindi: accesso ai play off e poi proveremo a fare meglio di quanto fatto la scorda stagione».

Calcio e ingegneria come si coniugano?
«Vivo il calcio con la leggerezza di chi sa di avere un’alternativa fuori dal campo. Il mio percorso è ben definito. Crearsi sempre una possibilità di scelta aiuta a cogliere al meglio le opportunità che passano davanti».

Lei ha fatto anche il raccattapalle al Bentegodi ai tempi dell’Hellas. Sono passati campioni. Qualcuno le è rimasto dentro?
«Sono sincero: il mio calcio è passione e non certo ossessione. Non ho idoli. Ho sempre vissuto questo sport come un piacevole momento di crescita personale».

Capito, non è uno da poster in camera. Sulla sua strada, però, avrà trovato figure carismatiche che hanno contribuito alla sua crescita
«Oggi penso ad Hallfredsson e Gomez. Un loro sguardo vale molto. Ti aiutano, ti fanno capire, ti mettono in condizione di crescere. A San Martino, invece, ho avuto la fortuna di allenarmi e giocare con Francesco De Rossi. Io ero un ragazzino, lui una guida. Cogliere il meglio dai migliori aiuta a crescere».

La Virtus potrà mai sopravvivere a Fresco?
«La Virtus è una splendida famiglia. Ma Fresco è unico e non può essere replicato».

Gigi spiegato a chi non lo conosce?
«Geniale e amorevole. Definirlo solo un allenatore è riduttivo. Ti fa sentire partecipe della Virtus, ti fa sentire importante dentro la storia del club. Qui tutti hanno un valore umano. E chi entra nella dimensione è portato a dare qualcosa in più quando si gioca».

Lei dice: non vivo di ossessioni. Cosa intende?
«Senza ossessioni riesco a cogliere le cose più positive di quello che sto facendo alla Virtus. Il calcio è applicazione, serietà ma anche divertimento. E da noi il divertimento non manca mai. Serve trovare sempre, in tutto, il giusto equilibrio».

La sconfitta di Padova cosa ha detto?
«Che la Virtus può ambire a fare grandi cose, che non deve accontentarsi e che nel girone ci sono grandi squadre. Il percorso è lungo, le difficoltà non mancheranno, ma le idee sono molto chiare».

In campo pare non tradire mai ansia. Eppure il suo è stato un percorso che le ha imposto di alzare sempre l’asticella
«L’ansia non mancava. Soprattutto quando cambi la dimensione e le difficoltà. Ho avuto la fortuna di trovare le persone che mi hanno protetto e accompagnato. La cosa più importante? Lavorare sui miei limiti»

Simone Antolini

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