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Stato di crisi

Passo pesante, Virtus in ansia. Eppure il traguardo resta vicino

Due sole vittorie nel girone di ritorno e appena 12 punti raccolti su 42: tutto in discussione nell’urgenza di una sterzata
L’asso nella manica Andrea Nalini, finora limitato dagli infortuni, potenziale jolly di primavera
L’asso nella manica Andrea Nalini, finora limitato dagli infortuni, potenziale jolly di primavera
L’asso nella manica Andrea Nalini, finora limitato dagli infortuni, potenziale jolly di primavera
L’asso nella manica Andrea Nalini, finora limitato dagli infortuni, potenziale jolly di primavera

Sofferenza e speranza, crisi e redenzione. Concetti in apparenza lontani, invece mai così vicini: la Virtus oscilla in una strana, inattesa, pericolosa ambivalenza. 

Sarà un finale di stagione descritto da un paradosso: il rischio della caduta ai play-out è concreto come la vicinanza dell’obiettivo salvezza. Condizione che, fino a gennaio, era lontanissima dalle percezioni degli addetti ai lavori, pessimisti cronici compresi. 

Ma la Virtus bella e possibile, concreta ed elegante ammirata nel girone d’andata oggi è un ricordo sfumato, quasi un ologramma. 
Il tema è arci noto: dalla partenza di Faedo e Casarotto nel mercato di gennaio la Virtus ha smarrito certezze ed equilibri. In primis in termini di imprevedibilità offensiva: senza gli strappi e l’attacco alla profondità garantiti da Casarotto la proposta d’attacco virtussina si è ridotta ad un concentrato di buone intenzioni.  L’idea di attaccare l’area con i cross e gli inserimenti dalle retrovie è logica, ma attualmente insoddisfacente. 

I numeri

I numeri fotografano bene l’involuzione rossoblù. Sarà pur vero che la matematica non racconta tutto ma restano sempre i dati oggettivi gli elementi imprescindibili da cui impostare qualsiasi interpretazione. 

Fragilità diffuse

Andando per gradi, lo stato dell’arte virtussino appare verosimilmente questo: quota 40 punti, raggiunta due settimane fa, non basterà per una primavera sportivamente priva di ansie. Il piatto piange da tempo: due sole vittorie nel girone di ritorno, dodici punti racimolati su quarantadue disponibili, sette gol fatti a fronte di diciassette subiti. Un conto asciutto, figlio di mille variabili ma al contempo espressione di una fragilità diffusa. 

La salita di Cabianca, un difensore al primo anno tra i professionisti, a capo cannoniere del gruppo con 4 reti, è l’emblema dell’evanescenza offensiva. Un fattore rilevantissimo: se produci gioco senza concretizzare, il rischio di subire la rete anche casuale rimane dietro l’angolo. 

Altro riferimento d’analisi: la Virtus ha tenuto sì testa a due big come Vicenza e Padova, pareggiando in entrambe le occasioni, ma non sa più vincere gli scontri diretti. Le cadute con Novara, Pro Sesto, Trento e Lumezzane pesano come un macigno. I quattro schiaffi a Mantova hanno portato in dote infortuni in serie (Daffara, Gomez, Zarpellon) prima di un trittico di incroci alla portata con Trento, Giana Erminio e Lumezzane. Sottrazioni via via recuperate, ma su nove punti disponibili in saccoccia ne è finito uno soltanto. Eppure, a cinque giornate dal termine, la Virtus è tanto consapevole dei propri mali quanto della vicinanza della potenziale guarigione. 

Questione di obiettivi

I play-off paradossalmente distano tre punti al pari della zona play-out. L’involuzione di risultati è un male diffuso anche tra le avversarie: il Renate, prossimo avversario, ha esonerato Colombo richiamando Pavanel; ad Arzignano Bentivoglio ha rilevato Bianchini, la Pro Sesto penultima non scoppia certo di salute. Avversaria, la truppa meneghina, da tener d’occhio: la Virtus ha 13 punti in più, se arrivasse quint’ultima si salverebbe senza play-out con un distacco maggiore di otto punti. Anche una sola vittoria potrebbe bastare per la salvezza: sarà vitale coglierla quanto prima.

Riccardo Perandini

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