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Il lutto

È morto Mihajlovic, sconfitto dalla leucemia. L'Hellas: «È stato un onore, Sinisa»

Nel 2019 l’allenatore serbo aveva rivelato di avere la leucemia
Sinisa Mihajlovic
Sinisa Mihajlovic
E' morto Sinisa Mihajlovic

La leucemia alla fine ha avuto la meglio su Sinisa Mihajlovic, strappandolo ai suoi cari dopo tre anni di lotta e sofferenza durante i quali il tecnico serbo non ha rinunciato al suo lavoro cercando di ricacciare indietro con la sua grande passione l’ombra che si allungava su di lui.

Era stato lo stesso Mihajlovic, nel luglio 2019, a dare la notizia di aver contratto la malattia. Voleva prenderla di petto, nel suo stile diretto, incapace di nascondersi, che si trattasse di difendere l’adorata Serbia o un compagno di squadra. «Io non gioco mai per non perdere, nel calcio come nella vita. Sconfiggerò il male - aveva detto l’allora tecnico del Bologna - e lo farò per mia moglie, per la mia famiglia, per chi mi vuole bene».

A 53 anni - dopo alti e bassi, speranze di guarigione e ricadute - si è dovuto arrendere, lasciando un vuoto in quanti lo hanno apprezzato come centrocampista e difensore di tante squadre - dalla Stella Rossa di Belgrado all’Inter - e poi sulle panchine di vari club italiani: la stessa Inter, Catania, Fiorentina, Milan, Torino, Sampdoria. Ha vestito anche le maglie di due nazionali: Jugoslavia, e Serbia-Montenegro.

 

Madre croata, padre serbo

Nato a Vukovar, madre croata e padre serbo, Sinisa dopo aver vissuto gli orrori della guerra etnica si mette in luce con la Stella Rossa, vincendo la Coppa dei campioni a 22 anni. Attira l’attenzione con il suo potente sinistro, micidiale nei calci piazzati (28 le reti realizzate solo in serie A). Portato in Italia dalla Roma nel 1992, due anni dopo passa alla Sampdoria, dove diventa il pupillo del tecnico Sven Goran Eriksson che lo valorizza schierandolo al centro della difesa.

Nel 1995 conosce la donna della sua vita, Arianna Rapaccioni, che sposa l’anno dopo e più di chiunque altro gli è stata vicina durante la battaglia contro la malattia. Dalla loro unione sono nati sei figli. A giugno 2021 avevano festeggiato le nozze d’argento dicendosi nuovamente sì, con una romantica cerimonia a Porto Cervo.

Nel 1998 si trasferisce alla Lazio. Sono gli anni dell’ultimo conflitto balcanico e quando la Nato bombarda Belgrado, con gli aerei che partono dalle basi in Italia, Mihajlovic non nasconde l’orgoglio di essere serbo. Come non rinnega l’amicizia per Zeliko Raznjatovic, ex capo ultrà della Stella Rossa, meglio noto come il comandante Arkan. Con il connazionale Dejan Stankovic, nel maggio del 1999, a Udine gioca con il lutto al braccio e, dopo aver trasformato un rigore, mostra la maglietta bianca con il bersaglio e la scritta «target», simbolo di quanti da oltre un mese protestano per gli ordigni contro la Serbia.

In biancoceleste dal 1998 al 2004, diventa l’idolo della tifoseria che ripaga con un totale di 20 gol, suo record con la stessa maglia. Chiude la carriera nel 2006, dopo due stagioni all’Inter. Da tecnico si guadagna ben presto il soprannome di ’sergente' per i pesanti metodi di allenamento. Una carriera con più esoneri che successi, ma ovunque Mihajlovic è apprezzato per l’impegno e la dedizione al lavoro. La grinta, la voglia di essere in panchina nonostante gli effetti delle cure, lo fanno amare a Bologna più che altrove. E giocatori e tifosi lo ringraziano, andando a salutarlo sotto le finestre dell’ospedale, quando non può essere al suo posto. O recandosi in pellegrinaggio al Santuario di San Luca, con quelli della Lazio, per pregare insieme per il loro allenatore. La storia in rossoblù si chiude con l’esonero nello scorso settembre, amaro e non accettato: «Stavolta il sapore che mi lascia il mio voltarmi indietro è più triste», scrive rivolto a «fratelli e concittadini, dopo tre anni e mezzo di calcio, di vita, di lacrime, di gioia e di dolori».

 

La nota della famiglia

Nella nota diramata poco dopo la morte, i familiari hanno definito la sua morte «ingiusta e prematura». «La moglie Arianna, con i figli Viktorija, Virginia, Miroslav, Dusan e Nikolas, la nipotina Violante, la mamma Vikyorija e il fratello Drazen, nel dolore comunicano la morte ingiusta e prematura del marito, padre, figlio e fratello esemplare, Sinisa Mihajlovic».

«Uomo unico professionista straordinario, disponibile e buono con tutti - prosegue il comunicato della famiglia Mihajlovic -. Coraggiosamente ha lottato contro una orribile malattia. Ringraziamo i medici e le infermiere che lo hanno seguito in questi anni, con amore e rispetto. Sinisa resterà sempre con noi. Vivo con tutto l’amore che ci ha regalato».

 

L'Hellas: «È stato un onore, Sinisa»

«È stato un onore, Sinisa». Così l’Hellas Verona, con un post sulla pagina Facebook, ricorda Siniša Mihajlovič,. Mihajlovič dopo l’annuncio di avere contratto una forma acuta della malattia, il 13 luglio 2019, era tornato in panchina proprio a Verona, il 25 agosto, dopo 44 giorni di ricovero, nella partita giocata al Bentegodi e pareggiata 1-1 dal Bologna.

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