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L'intervista

Amauri: «Il Chievo mi ha lanciato in Serie A, fa male sapere che è sparito»

Amauri Carvalho de Oliveira ha giocato al Chievo dal 2003 al 2006, mettendo insieme 90 presenze e 17 gol
Amauri in azione con la maglia del ChievoVerona
Amauri in azione con la maglia del ChievoVerona
Amauri in azione con la maglia del ChievoVerona
Amauri in azione con la maglia del ChievoVerona

Amauri Carvalho de Oliveira svettava con il suo capello rigorosamente stirato tra gli stand del Vinitaly. L’abbraccio è di quelli veri, sinceri. Quando i calciatori potevano parlare liberamente e fidarsi dei giornalisti, senza un tweet o una frase politicamente corretta e scontata, postata dal bimbetto di turno salito fino al ruolo di media-manager. Amauri, questo il nome del personaggio ritrovato, era arrivato a Verona nel 2003. Visite mediche in centro, al vecchio istituto di medicina sportiva di fronte a Santissima Trinità. A due passi dal Vecchio Bentegodi. «Che bello ritrovarti e ritrovare Verona». Queste le prime parole di un ragazzo che dal Napoli, solo sei presenze, cercare fortuna. La maglia era quella del Chievo, che già aveva fatto innamorare l’Italia intera. La squadra di Delneri, Corini e delle frecce nere all’epoca Eriberto e Manfredini. Lo troviamo in compagnia dell’ex polacco del Milan Marec Jankulosvski e l’imprenditore Fabio Cordella. Quest’ultimo insieme ad ex protagonisti della pedata ha dato vita al «Vino dei Campioni». 

 

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Ma Amauri o Amaurì?
Oh sono italiano (ride ndr) Amauri, va benissimo.
Cosa ci fai al Vinitaly?
Faccio il vino. Insieme ad altri miei ex compagni o colleghi. Questo progetto è iniziato sette anni fa. Il primo ad essere coinvolto è stato Ronaldinho e poi siamo arrivati ad essere diciotto calciatori che hanno deciso di investire nel vino. 

 

Amauri (qui con Pellissier), 37 anni, per tre anni al Chievo: 96 presenze e 22 reti totali FOTOEXPRESS
Amauri (qui con Pellissier), 37 anni, per tre anni al Chievo: 96 presenze e 22 reti totali FOTOEXPRESS


Basta calcio?
L’avevo già deciso quando stavo giocando le mie ultime partite da professionista che avrei cercato qualche cosa di diverso.
Di vino però ne capivi, visto le tue esperienze in terre generose come il Piemonte (Juve) e il Chievo (Verona)...
E certo. Guarda caso ho iniziato a farmi qualche bel bicchiere di vino nel 2003 quando arrivai a Verona. L’Amarone è uno dei miei rossi preferiti. Questo progetto è una nuova sfida e a me le sfide sono sempre piaciute. Ora non si tratta di fare gol ma di andare in giro per il mondo a rappresentare la nostra etichetta, per me è un motivo di soddisfazione.
Sei stato il primo giocatore del Chievo a segnare in Europa, ora non esiste più. Che effetto ti fa?
Fa male. Quel club è stata la favola moderna del calcio italiano. Ci sono stati grandissimi giocatori che hanno vestito quella casacca. A me il Chievo ha dato tantissimo.
Sofia, la prima istantanea?
Là, se ci avessero dato per buono, e lo era, il gol di Tiribocchi, sarebbe cambiata la storia in Champions League. Anni stupendi comunque. E io ricordo tutti: Pellissier, Tiribocchi e Obinna. E poi tutta la squadra. In quell’anno ci fu la mia esplosione e grazie al Chievo sono diventato un buon calciatore che è stato ai vertici del calcio italiano per anni. Palermo, poi Juve. Grazie Chievo, sei stato il mio trampolino di lancio.
Vivi a Miami, Marazzina lo vedi?
Cavolo(ride ndr). Ho beccato tutti gli italiani tranne lui. 
Il rimpianto, se c’è, qual è ?
Non ne ho. Nel 2003 mister Delneri mi aveva riportato in serie A. Dopo Bepi Pillon ha puntato su di me e ho fatto bene. A loro devo moltissimo.
L’Italia in avanti ha bisogno degli oriundi. È stato così con te?
Con me non aveva tutta questa necessità. Sono nato in una generazione che aveva Inzaghi, Vieri, Totti, Di Natale, Iaquinta e Toni. Ho fatto quello che ho potuto in azzurro. Vorrei tanto che tornasse Ciro Immobile. Un ragazzo che è bravissimo. Comunque non voglio mancare di rispetto a nessuno ma bisogna cambiare la mentalità dei settori giovanili. C’è da puntare sugli italiani.
Il tuo vino preferito?
Malvasia nero, cento per cento in purezza. 

Gianluca Tavellin

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