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Omaggio alla leggenda/1

De Paoli, che nostalgia: «Pelè? Pareva arrivasse da un altro pianeta»

di Simone Antolini
L’ex centrocampista, veronese di Cadidavid, marcò O Rei nel 1967: «Mister Cadè mi disse: “Ci pensi tu”. E la felicità cancellò la paura»

«Ragazzo, oggi lo marchi tu Pelè»: Roberto De Paoli finì in un tempo sospeso.  Giovane tra i veterani al Mantova. Uno che macinava sogni e chilometri. Destinato a regalarsi un ricordo per la vita. Il 17 giugno 1967 il Santos di Pelè arrivò in tournée al Martelli. Lui e i samba boys. Portavano gioia.

«Pareva arrivasse da un altro pianeta» racconta De Paoli, veronese di Cadidavid, classe ’45. Calciatore tutto di un pezzo. Carriera da lottatore. E una storia da raccontare. 

Giancarlo Cadè, tecnico bergamasco dal cognome brasileiro, quel giorno puntò gli occhi in direzione di De Paoli. «Ero felice, felicissimo. Non avevo nessuna paura. Troppo forte la gioia di dire: “oggi Pelè tocca a me”».  Era il migliore, era il campione. Alle spalle già due Mondiali vinti nel 1958 e nel 1962 con il suo Brasile. Di lì a poco avrebbe ottenuto definitiva consacrazione conquistando il suo terzo titolo a Messico ’70. Battendo in finale proprio l’Italia.

«Mi impressionarono le gambe, le fasce muscolari. Erano il doppio delle nostre». Il Martelli è un’onda di dodicimila persone. 
Il buio attorno al campo illuminato. Per una sera: un teatro ed una stella. Con felici comparse a rendere unico l’evento. Certi spettacoli passano solo una volta. «E io avevo il privilegio di essere il più vicino al giocatore che tutti avrebbero voluto toccare».

Serata di samba

Esce dallo spogliatoio De Paoli e inizia il riscaldamento. Gara amichevole, contava zero. Valeva tutto per Roberto. «La preparai come fosse stata una delle partite più importanti della mia vita». Sapendo che «Pelè lo rispetti, ma non lo fermi».

Il Santos «portava la samba al Martelli. Da quel bus scesero campioni che trasformavano in ritmo tutto ciò che toccavano ticchettando sugli oggetti che gli si paravano davanti. Loro erano musica, erano speciali. Pelè lo era di più. Pochi giorni prima a Mantova erano passati i globetrotters, autentici fenomeni, giocolieri, stelle. Proprio come quelli del Santos. E io non ero spettatore, ma l’uomo destinato a seguire Pelè». Aveva il dieci sulle spalle larghe, la magia addosso. 

E la partita iniziò. «Cercai di dimenticarmi che era Pelè. La giocai tutta. Novanta minuti di applausi». Per Pelè, naturalmente, ma anche per De Paoli. «Cercavo l’anticipo, cercavo di interpretare il suo genio. Qualche volta riuscii a uscirne vincitore. Era una stella ma pur sempre un uomo. Ci divertimmo. Poi, Pelè se lo... pensi troppo non te lo trovi più davanti. Palla ai piede spariva agli occhi. Ma penso di avere fatto comunque una figura più che dignitosa».

«Peccato la... maglia»

Vince il Santos di misura. De Paoli la ricostruisce così: «Giocai una buona gara. Pelè segnò due reti. Penso che mi sia andata anche bene». La prima con gran botta su punizione. La seconda, a dire il vero, le cronache dell’epoca la attribuiscono a Wilson, liberato da un assist di Pelè. Ma era sera di incanti. 

«Ricordo il fischio finale, il cenno al fotografo a bordo campo. Accompagnai Pelè fuori dal campo, gli misi una mano sulla spalla e quell’immagine venne immortalata. Oggi è in cornice, resta il ricordo più bello. Era un campione gentile, dimostrò grande disponibilità con tutti. Il rammarico? Non era abitudine in quei tempi scambiare le maglie a fine gara».

Nelle ore tristi dell’addio a Pelè affiorano altri ricordi. «Nella mia carriera marcai altri grandi campioni. Il primo che mi viene in mente è Rivera. Ma Pelè era Pelè. Certo, c’è stato anche Maradona. Loro erano diversi. Ma Pelè resta il numero uno. Un grande uomo, un grandissimo giocatore. Il suo calcio era samba, vederlo giocare ti metteva addosso gioia». 

Se ne va. Lui come Diego, come Pablito, come Cruijff, come Muller, come tanti altri campioni. «Sì, campioni di un calcio che non c’è più. Di un mondo che non c’è più», saluta De Paoli. «Ma loro restano. Perché si sono guadagnati in vita l’immortalità». 

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