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Intervista all'ex allenatore

Malesani: «Ho girato il mondo, ora mi sono ripreso famiglia e amici e faccio vino. A mia nipote racconterò di Maradona e Ronaldo»

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Alberto Malesani con le figlie, nella loro cantina (foto Udali)
Alberto Malesani con le figlie, nella loro cantina (foto Udali)
Alberto Malesani con le figlie, nella loro cantina (foto Udali)
Alberto Malesani con le figlie, nella loro cantina (foto Udali)

Difficile scegliere da quale argomento iniziare la lunga chiacchierata con Alberto Malesani. Calcio o vino? Il passato che torna o il presente che affonda le radici nella giovinezza? Tutto è pura passione per l’ex allenatore: il Chievo e il Verona, i tifosi e i giovani e le bottiglie che invecchiano alla cantina La Giuva di Trezzolano. Dove, dopo girovagare, pare abbia messo radici. «Mi sono fermato per recuperare quel che ho perso negli anni di allenatore», racconta. «La mia famiglia prima di tutto, gli amici, la mia Verona. Mi sto godendo la mia identità territoriale che temevo aver perso nei 26 anni da professionista. È bastato un giro in bicicletta - quella ce l’ho nel sangue - per riscoprire le strade in cui bazzicavo da ragazzino con gli amici, per riappropriarmi del mio territorio».

 

Un’esigenza più che una scelta?

Io sono un tipo molto paesano e mai avrei immaginato di viaggiare così. Pensavo mi bastasse la Val Squaranto, che reputo la più bella e incontaminata fra quelle veronesi.

 

Quanto le manca il titolo di mister?

Mi sono ritirato otto anni fa. Nel primo periodo avevo l’orologio biologico che scattava la domenica subito dopo pranzo, e al fischio d’inizio si scatenavano dentro di me emozioni travolgenti.

 

Forse perché le partite ora sono spalmate nell’intera settimana.

Fra Coppa Italia, campionato e Uefa giocavamo una partita ogni altro giorno. La tempesta si è calmata con il tempo ma non mollo: mi piace ritrovare i vecchi amici, lavorare con i settori giovanili (Bologna o Modena), trasferendo ancora ai giovani le mie idee di allenamento.

 

I giovani che muovono il mondo... Giulia e Valentina, le sue figlie, dirigono la cantina.

Sono di mentalità libertaria, credo nel mondo che si evolve rispettando le regole. Io, che ho sempre seguito con interesse il processo di evoluzione, ho visto nel calcio cadere tanti tabù. Giulia e Valentina hanno l’intraprendenza della loro giovane età, che io non ho più.

 

Al vino come ci è arrivato?

Ricordo mio padre che si trovava con gli amici in osteria. Lì stemperavano la stanchezza della giornata: quattro chiacchiere e l’immancabile gòto. La qualità del vino è migliorata, lo si assapora, lo si riconosce, lo si abbina. In ogni città in cui ho allenato sono stato l’allievo che voleva comprendere attraverso la cultura culinaria il carattere e il modo di concepire la vita. Ho avuto la fortuna di allenare nella fertile Toscana: Firenze, Empoli e Siena.

 

L’annata 2021, la peggiore per il suo calcio.

Chievo e Calisto Tanzi? A loro devo molto, sono due enormi perdite. Il Chievo è stato ingiustamente esautorato, ha pagato per prese di posizioni politiche e sportive ben più del dovuto. E anche la scomparsa di Tanzi mi ha dato un grande dolore.

 

I loro errori sono come un vino che sa di tappo...

Facile giudicare da fuori. Dal punto di vista umano li ho visti entrambi affrontare situazioni molto complicate. Il Chievo ha fatto da parafulmine per tutto il movimento, subendo una vera e propria caccia alle streghe. Tanzi, come ho già avuto modo di dire dopo la sua recente scomparsa, mi ha accettato così com’ero, un po’ stravagante sia nel comunicare che nel vestire, quindi fuori dalla sua linea.

 

È più facile produrre vino o allenare?

Diciamo che oggi apprezzo la vita in famiglia che mi era mancata e sono nonno della splendida Emma. Da allenatore l’unico pensiero era vincere a tutti i costi, trovandomi a giustificare con la dirigenza un pareggio. La pressione nel calcio è enorme.

 

Poi salta il tappo e vengono fuori le criticità.

Senza cadere nel vittimismo, Luca Campedelli è stato abbandonato. Potevano dargli una mano, hanno preferito girargli le spalle dimenticando che ha portato il calcio veronese ai preliminari di Champions. I risultati ottenuti sono stati scordati, non lo accetto. Vero, Luca ha un carattere particolare, andava però aiutato e invece in molti hanno brindato alla scomparsa del club della Diga.

 

Anche lei ha qualche scheletro nell’armadio. Ricorda le polemiche di quando, allenatore dell’Hellas, andò a festeggiare sotto la curva Sud il 3-2 contro la squadra della Diga?

Quel giorno hanno parlato le emozioni e auguro a tutti di raggiungere quel grado di intensità. Al Chievo devo molto, più che all’Hellas, ma vincere una partita in quel clima, in un Bentegodi stracolmo, rimontando dal 2-0 è stato clamoroso. I tifosi del Chievo si sono sentiti dileggiati: sbagliano. La mia esultanza non ha sorpreso Luigi Delneri come io avevo accettato la corsa senza maglia di Eugenio Corini autore del 2-0. Furono polemiche inutili, oggi nemmeno i grandi allenatori come Mourinho, Conte o Guardiola sanno contenersi di fronte a certi risultati.

 

Negli anni d’oro al Parma lei era il primo contribuente di Verona: Damiano Tommasi candidato sindaco le piace?

Mi tiro fuori dalla politica. Damiano è stato però un avversario pulito, ha un profilo morale inattaccabile. Mi chiedo se una persona integerrima come lui riuscirà ad accettare i compromessi, per contro metterà sempre davanti gli interessi della comunità a quelli personali.

 

Il suo giocatore preferito?

Michele Cossato: non ha mai dimenticato quello che ho fatto per lui. Oggi direi Nicolò Barella dell’Inter, esuberante che sa trascinare per le belle qualità morali.

 

Apprezza molto la rettitudine.

Sono un romantico. Mi piacciono i tramonti di questa valle stupenda e poco conosciuta, la più bella della Lessinia. Quando la città boccheggia a 40 gradi qui ci godiamo un venticello frizzante.

 

Stride il suo presente di pantofolaio rispetto al grande passato: una Coppa Italia, una Uefa, una Supercoppa col Parma... O bacchettando in Grecia i giornalisti con quella celeberrima sfuriata. Da nonno la immaginiamo raccontare la favola del Chievo alla piccola Emma.

E le racconterò di Maradona quando venne a giocare al Bentegodi, pura arte, o di chi era Ronaldo. Le rammenterò anche che il futuro è dei giovani ma che non deve volere subito la luna. I club più piccoli sono il terreno fertile per far crescere i ragazzi e le ragazze che fra le big non troverebbero spazio. Ma devono esserci le grandi squadre per spingere il movimento. Gli allenatori di provincia sanno valorizzare la categoria di cui ho fatto parte per 26 anni.

 

Un po’ autoreferenziale.

Juric all’Hellas ha dato la svolta alla società, e lavorando libero e impostando il progetto di campo ha valorizzato anche i direttori sportivi. Tudor, in maniera intelligente, ne ha raccolto i frutti ma perché un club si affermi deve spendere.

 

Come con il vino, trovando le viti migliori.

Già, le mie in Val Squaranto, lungo le strade che percorrevo da bambino. E che percorro ancora in bici. Il ciclismo è lo sport a cui sono più affezionato nella pratica, interrotta per il calcio. Dà la possibilità di visitare posti magnifici che qui hanno il nome di Lago di Garda, Lessinia, Valpolicella. Però è grazie ai proventi al calcio che ho potuto costruire la mia cantina, altrimenti quello del vino sarebbe rimasto un sogno chiuso nel cassetto.

Anna Perlini

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