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L'intervista a Damiano Cunego

I 40 anni del «Piccolo Principe»: «Forse ho vinto troppo presto, ma non rimpiango nulla»

Damiano Cunego
Damiano Cunego
Damiano Cunego
Damiano Cunego

Quarant’anni, 17 da professionista, prima uno da allievo, due da junior (col Mondiale vinto a Verona nel 1999), uno da Under: Damiano Cunego vive «con grande serenità il compleanno, molto soddisfatto della mia carriera pur consapevole che, tornassi indietro, qualcosa cambierei, senza particolari rimpianti, anche se, guardando indietro, se uno solo dei secondi posti tra Mondiale, Giro della Svizzera, Alpe d’Huez al Tour e campionato italiano fosse stato un primo, sarebbe stata tanta roba in più.

Per tutta la sua carriera tra i prof, è rimasto aperto il dibattito se Damiano fosse più corridore da corse a tappe o da un giorno, ma anche le riflessioni post carriera lo portano a dire: «non so darmi una risposta perché quando stavo bene, andavo bene dappertutto».
L’hanno chiamato “il Piccolo principe” che considera «un bel riconoscimento», tanto che, dell’opera di Saint-Exupéry, «mi porto dentro una frase: Devo pur sopportare qualche bruco se voglio conoscere le farfalle, sembra che siano così belle». 

 

Damiano Cunego e la vittoria del Giro d'Italia 2004
Damiano Cunego e la vittoria del Giro d'Italia 2004


Il soprannome l’ha accompagnato da dopo la vittoria al Giro d’Italia 2004, rimasto anche se Damiano non si è più ripetuto in una grande corsa a tappe (ma ci sono stati, comunque, un 4°, un 5° e un 6° al Giro, una maglia bianca di miglior giovane al Tour e un 6° posto finale, migliore degli italiani). 
«Dopo quella vittoria», fa presente, «tutti si aspettavano che vincessi altri Giri d’Italia e Tour de France, ma non era scontato, anzi: sono umano anch’io. Ho comunque vinto tanto in carriera e sono contento così. Ho sempre dato il massimo e lavorato sodo».

 


Non c’è solo il Giro nel palmarés di Damiano, ma anche tre Giri di Lombardia e un’Amstel Gold Race (su 53 vittorie complessive) per rimanere alle gare del World Tour attuale. E altre ne ha sfiorate, vedi la Liegi dove ha fatto un podio, un 4° e un 5°.
Cunego è cresciuto sotto l’ala di “Martino”, Giuseppe Martinelli, che gli aveva assicurato un posto tra i prof sin dagli anni da junior. Poi i due si sono divisi, ma Cunego dice: «Devo molto a lui e lui lo sa. Sicuramente, Martino mi avrebbe fatto sposare di più la causa dei grandi Giri. Con lui sono in contatto e Martino mi sta dando consigli utili per l’attività di preparatore».

 

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La chiusura dell’attività agonistica non è stata traumatica. Aveva preparato bene l’addio, programmando il futuro. Così, quando è sceso dalla bici a metà 2018, a Darfo Boario, il giorno del Tricolore vinto da Elia Viviani, sapeva bene cosa avrebbe fatto. E tre anni dopo può dire: «Sto molto bene, la vita va avanti. Ho concluso il secondo anno all’Università nella facoltà di Scienze Motorie, vado in bici, guardo le corse in tv, sono sempre impegnato». Con obiettivi ben precisi in testa. «Mi è sempre piaciuto il discorso della preparazione atletica, per questo e per cultura personale mi sono iscritto all’Università, anche perché ritengo che un tecnico debba passare da questo percorso per essere ben formato». Intanto, Damiano è già all’opera visto che segue due atleti Under 23, due allievi ed uno juniores.
Cunego è diventato un professionista del ciclismo a 21 anni, sostenuto sempre da «grande voglia di fare e arrivare», vivendo «qualcosa di incredibile con la vittoria al Giro a nemmeno 23 anni», tanto da ammettere che «forse ho bruciato qualche tappa. Ma tutto è avvenuto in modo naturale».
Ha vissuto «un ciclismo diverso dall’attuale. Ho cominciato a correre con alcuni atleti degli anni Sessanta e con le bici in alluminio e ho smesso quando in gruppo c’erano i ragazzini del Duemila e bici con i freni a disco e, pertanto, con performance sempre maggiori a parità di sforzo. Per non parlare dell’alimentazione, ora seguita in modo sempre più maniacale. Gli juniores di oggi usano già il potenziometro e, quando passano prof, raramente sbagliano, ma, a mio avviso, il rapporto umano è quasi sparito, si pensa solo al risultato e così facendo c’è il rischio che le carriere sportive diventino sempre più corte; c’è troppa esasperazione, e alla lunga pesa.
Cunego vede con piacere che tanti ragazzini si avvicinano alla mountain bike e che c’è sempre maggiore attenzione alla sicurezza sulle strade, problema che non si risolve in poco tempo e per il quale serve un salto culturale». 
Tra i big di oggi si rivede «un po’ in Evenepoel «forte in salita, veloce, forse io ero più bravo in discesa, ma lui è decisamente già bravo a cronometro»), uno dell’elenco di fenomeni che comprende Pogacar, Van Aert, Van der Poel, Pidcock, Bernal…, tutti «dell’estero dove ci sono scuole più complete rispetto alle nostre, così «manca uno in grado di sostituire Nibali», non dimenticando, comunque, «atleti validi, come Filippo Ganna ed Elia Viviani».

 

LA SCHEDA

Nato a Cerro il 19 settembre 1981, Damiano Cunego ha cominciato a correre con la Gaiga al secondo anno da allievo. Campione del mondo juniores a Verona nel 1999, poi Under per due stagioni con la Zalf, è stato prof dal 2002 al 2018 (Saeco 2002-2004, Lampre 2005-2014, Nippo Fantini 2015-2018), conquistando 53 vittorie (è il sesto vincitore più giovane del Giro, nel 2004, a 22 anni 9 mesi). Vice iridato nel 2008 (primo Ballan) a Varese, numero 1 al mondo nella classifica Uci nel 2004, azzurro ai Mondiali 2004, 2007, 2008, 2009, ha corso 11 Giri (4 vittorie di tappa), 5 Tour, 5 Vuelta (due vittorie di tappa). Ha ricevuto diversi riconoscimenti: Oscar Tuttobici juniores nel 1999; Giglio d’Oro, rivelazione dell’anno 2003; Atena d’Argento nel 2004; Premio Sport del Comune di Camaiore nel 2004; Oscar TuttoBici «prof» nel 2004 e 2009; Premio Gazzetta dello Sport-Fausto Coppi nel 2004; Miglior atleta italiano nel 2008; Premio Italia al Galà del ciclismo di Conegliano nel 2009. 

 

Renzo Puliero

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