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«Il soprannome? È stato Brera, riguarda un nano»

Foto di gruppo degli studenti con i grandi protagonisti di ieri
Foto di gruppo degli studenti con i grandi protagonisti di ieri
Foto di gruppo degli studenti con i grandi protagonisti di ieri
Foto di gruppo degli studenti con i grandi protagonisti di ieri

«Presidente Fraizzoli, ci vada lei alla Juventus». Che Roberto Boninsegna non le abbia mai mandate a dire è cosa nota, e che il suo cuore interista avesse sanguinato quando fu trasferito a Torino, anche. La lezione a Scienze Motorie è diventata una fonte di aneddoti.
A cominciare dal suo soprannome. «Gianni Brera mi spiegò che Bonimba era la fusione fra il mio cognome e Bagonghi, un nano che si esibiva in un circo. Io pensai: guarda questo, si permette di darmi del nano quando è una spanna più basso di me.
Il martedì seguente, sul Giorno, Brera scrisse: "E' inutile che Bonimba mi guardi dall'alto in basso, continuerò a chiamarlo così, perché quando corre è incassato. Al massimo, potrà essere un nano gigante».
La vita di Boninsegna è piena di aneddoti fin dall'infanzia. «Giocavo nella parrocchia di Sant'Egidio, a Mantova. Mio padre era comunista, ma mi lasciava frequentare l'oratorio perché potessi giocare. Sotto le feste natalizie, il parroco venne a benedire la casa. Io già immaginavo la fine dei miei giorni al campo da calcio, ma mio padre lo lasciò fare con qualche mugugno. Più avanti, quando mi chiamarono per un provino con l'Inter, mi disse di non preoccuparmi: se fosse andato male, avevo un posto sicuro nella cartiera dove lavorava lui».
Protagonista, ma anche testimone di episodi memorabili alla Juve:.
«Una volta, in pullman», racconta, «Benetti si sedette nel posto storico di Franco Causio. Si guardarono, poi Benetti disse: "Vuoi uscire dalla porta o dalla finestra?". Alla fine intervenne Trapattoni, e Causio riebbe il suo posto».
Con Trapattoni, invece, gli screzi cominciarono a causa di un tiro sbagliato.
«Era finito l'allenamento, avevo fatto mezz'ora di calci in porta supplementari, all'ultimo avevo le gambe pesanti, tirai fuori. "Sai perché hai sbagliato?" mi disse Trapattoni. Io ero stanco morto», rivela, «e anche un po' irritato, gli dissi "Giovanni, per piacere, ho segnato 160 gol in serie A, non farmi storie per un tiro sbagliato". Mi diede la multa, e da allora devo dire non corse più buon sangue tra di noi». F.C.

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