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Il gruppo tradisce la corsa Vince Cerny, perde il ciclismo

Josef Cerny a braccia alzate ad Asti. Ma è il giorno delle polemiche
Josef Cerny a braccia alzate ad Asti. Ma è il giorno delle polemiche
Josef Cerny a braccia alzate ad Asti. Ma è il giorno delle polemiche
Josef Cerny a braccia alzate ad Asti. Ma è il giorno delle polemiche

ASTI Vince Josef Cerny, 27 anni, ceco, prof dal 2012 (dopo 23 km di fuga solitaria). Perde il ciclismo. La tappa più lunga del Giro, pianeggiante, da Morbegno a Asti, di 250 chilometri, diventa una tappetta da Under (124 chilometri da Abbiategrasso) perché i corridori chiedono e ottengono di neutralizzare i primi 130 chilometri. Pioviggina ma non c’è grande freddo (11-12 gradi). Si giustifica la scelta per la sicurezza dei corridori, per tutelarne la salute (ma il protocollo è chiaro: le condizioni sono estreme solo in presenza di grandine, cumuli di neve, vento, temperature estreme, scarsa visibilità, inquinamento dell’aria: niente di tutto questo), per non mettere a rischio le loro difese immunitarie dopo un tappone come quello dello Stelvio. Il direttore del Giro, Mauro Vegni è costretto (?) ad accogliere la richiesta. Ma è furioso: «Una decisione inaccettabile che abbiamo dovuto subire. Ora pensiamo ad arrivare a Milano, poi a bocce ferme qualcuno pagherà anche per questo. La brutta figura che abbiamo fatto come ciclismo oscura quanto di buono fatto per portare il Giro sino a Milano. Da un anno tutti sapevano che la tappa era lunga. Non c’erano presupposti per assumere una decisione simile. So che molti corridori non erano d’accordo e mi dispiace. È evidente che tra i corridori e le loro squadre non c’è dialogo e se fossi un datore di lavoro alla guida di una squadra ciclistica qualche problemino me lo porrei». Vegni fa dunque presente che «quando i corridori non sono presenti a un quarto d’ora dalla partenza, cosa vuoi fare, quale alternativa può esserci?». I corridori fanno dodici giri attorno a Morbegno, poi salgono sui motorhome delle squadre e scendono solo a Abbiategrasso. Forse la scelta di una tappa di 250 chilometri al terz’ultimo giorno non sarà stata la più felice ma sorprende si parli di grandi fatiche in una settimana cominciata col giorno di riposo, seguito da due giorni senza battaglia (se non «passeggiate», fuggitivi a parte) verso San Daniele e Madonna di Campiglio, prima della vera giornata di ciclismo ammirata il giorno dello Stelvio e, comunque, alla vigilia di una tappa pressoché dimezzata nelle difficoltà altimetriche (no a Colle dell’Agnello, Izoard, Monginevro, sostituite da tre ascese a Sestriere). I corridori si sono dimenticati che tanti di loro, come tanti ragazzini oggi, si sono innamorati di questo sport vedendo passare il Giro sulle strade di casa, cosa negata alle scolaresche ed ai giovani che hanno atteso invano la corsa tra Morbegno e Abbiategrasso. Con il protocollo vigente, il ciclismo non avrebbe mai vissuto tappe diventate leggenda come quelle su Bondone 1956, Passo Rolle 1962, Gavia 1988, ma non c’è più ciclismo se si sceglie di non correre in una giornata di fine pioggerellina. Per la maglia rosa Kelderman «è stata una decisione giusta perché il Giro è stato duro, lungo e con freddo e ringrazio quindi Rcs di aver accolto la richiesta». Cristian Salvato, presidente dell’Associazione corridori, fa sapere che «sedici squadre su 18 hanno votato per accorciare la tappa». La speranza è che dopo questa immagine decadente, dannosa quanto mai al movimento, i corridori sappiano, dopo il buio, ridare oggi la luce e le emozioni oscurate in un giorno da dimenticare. •

Renzo Puliero

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