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Il punto di Gianluca Tavellin

«Juric? Nè diavolo, nè santo. E di lui i torinesi dicono che...»

Juric e Tudor a Torino (Fotoexpress)
Juric e Tudor a Torino (Fotoexpress)
Juric e Tudor a Torino (Fotoexpress)
Juric e Tudor a Torino (Fotoexpress)

Non sparate sul Verona ma non voltatevi nemmeno dall’altra parte. «Con il Cagliari meritava, con l’Atalanta pure e col Toro? Meglio i gialloblù in dieci che i granata in undici». Questa, più o meno, l’opinione generale. Metteteci dentro pure la gara di Coppa Italia con l’Empoli ed il bilancio non è incoraggiante. Cinque gare con tre ko, un pari e l’unico successo in rimonta a Venezia. Sembra che l’energia positiva sia finita in fondo alla laguna, come il ginocchio del guerriero Dawidowicz.
Le assenze Il Verona in questo ultimo mese e mezzo, ha dovuto fare i conti spesso con gli infortuni. Lunghi quelli di Kalinic e Gunter, tremendamente grave quello di Pawel. E Barak? Per ora è un mistero ma quella schiena dolorante, fu il vero motivo del suo addio all’Udinese. Sarà un caso ma senza l’Angelo biondo, sono arrivati tre ko. Antonin è uno dei centrocampisti con più chilometraggio di tutta la serie A. Mediamente il boemo copre una distanza sui 12 chilometri a incontro. Chissà cosa pagherebbe Juric per averlo, visto la scarsa qualità di qualche suo elemento. Il Toro ha più soluzioni, leggasi seconde linee, dell’Hellas ma in quanto a qualità, Tudor ha almeno 15 elementi di livello. Si diceva, Barak grande corridore con doti incredibili. A Torino quando è stata ridisegnata la squadra, Tameze ha fatto ciò che abitualmente fa il ceco, senza averne però il tiro, la fantasia e la capacità di colpire pure nel gioco aereo. Sarebbe poco onesto, guardando anche al rendimento di Barak, non sottolineare come l’Hellas abbia avuto una naturale flessione già nella trasferta di Genova contro la Sampdoria. I gialloblù non sono macchine e in pochi ricordano l’inizio in salita. La preparazione atletica deficitaria e gli equivoci tattici di Di Francesco. Un gruppo agonistico professionistico, vive di delicati equilibri, oltre che di capacità tecnico-tattiche. Contro la Fiorentina servirà una prova d’orgoglio.
Meglio in dieci Col Torino non è stata una bella partita. Muscolare sì ma tecnica e divertente no. Non c’entra il risultato. Una cosa che lascia perplessi è lo scarso rendimento di giocatori come Veloso e Ilic, che l’anno scorso difficilmente sbagliavano due gare di seguito. Anche in questo caso ci hanno messo lo zampino i contrattempi di natura fisica(Covid per il portoghese e trauma distorsivo per il serbo). Entrambi una volta ritornati in campo, hanno acceso la luce ad intermittenza, come le luminarie di Natale. Tudor non li ha aiutati, schierandoli insieme. Adrien Tameze deve giocare sempre, nella speranza che Hongla abbia finalmente capito il calcio italiano. Ilic e Veloso non sono simili ma similari e a volte, questo è un freno, più che un vantaggio.
Diavolo o Santo? A Torino per i tre gatti infreddoliti presenti da Verona, che sono scesi nella vecchia sala stampa dell’ex Comunale, c’è stato un pizzico di nostalgia. Ho rivolto ai colleghi piemontesi, questa semplice domanda: «Siete contenti di Juric?». La risposta in coro è stata immediata e sincera: «Molto». Il Mago di Spalato è così, prendere o lasciare. Il tifoso del Verona dimentica in fretta tutto e tutti. Forse è una pecca del Popolo Gialloblù. Ci si è scordati di Mandorlini, che ha portato la squadra dall’inferno della C ai 100 punti in serie A e si dileggia ancora Pecchia. Certo non sapeva comunicare ma senza budget riportò l’Hellas in A per poi cedere alla Ragion di Stato. Un convento, quel club che passava claudicanti, bimbi viziati e altro. C’era da mettere via per evitare guai peggiori e riprogrammare il futuro. Con Juric non abbiamo ne bevuto un Barbera, lo beveva all’Enoteca Baraldi a Verona ancor prima che Cairo lo rapisse e ne tantomeno un caffè. Anzi, personalmente, non l’ho neppure salutato, per i tempi legati alla stampa del quotidiano. Eppure si deve andare oltre alla demagogia del denaro. Ogni conferenza stampa di Ivan, era uno spettacolo. «Lui è fatto così». Ripeteva Tony D’Amico. «Quello che gli passa per la testa, dice». Sono convinto, al netto dell’impareggiabile furbesca dialettica, una specie di green pass, tipica degli slavi, che se anche fosse finita in parità, Ivan si sarebbe dato dello «Stronzo», sono parole sue, per come si è comportato con Setti ed i tifosi gialloblù. Ognuno è libero di pensare ciò che vuole ma quello che hanno fatto Ivan ed i suoi collaboratori in due stagioni all’Hellas, è qualcosa di importante e non solo dal punto di vista tecnico. Nè diavolo, nè santo ma semplicemente un uomo con pregi e difetti. Ciao Ivan, alla prossima.

Gianluca Tavellin

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