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MILAN- VERONA DI 35 ANNI FA

Il ricordo di Donà
"Baresi mi negò
la gioia del gol"

di Gianluca Tavellin
Preben Larsen Elkjaer in lotta con Franco Baresi in quello «storico» zero a zero  FOTO ARCHIVIO L’ARENADario DonàDomenico Volpati
Preben Larsen Elkjaer in lotta con Franco Baresi in quello «storico» zero a zero FOTO ARCHIVIO L’ARENADario DonàDomenico Volpati
Preben Larsen Elkjaer in lotta con Franco Baresi in quello «storico» zero a zero  FOTO ARCHIVIO L’ARENADario DonàDomenico Volpati
Preben Larsen Elkjaer in lotta con Franco Baresi in quello «storico» zero a zero FOTO ARCHIVIO L’ARENADario DonàDomenico Volpati

«A me piaceva giocare a calcio ma non ero un giocatore di calcio». Chiaro no? Chi parla è un altro dei desaparecido, insieme a Garella e Ferroni, della fantastica rosa che trentacinque anni fa, vinse lo scudetto. Anzi, per la precisione, giusto il 21 aprile del 1985, il nostro «eroe nascosto» consumò la seconda partita intera di tutto quel campionato. «E sì, andò così» ricorda Dario Donà, mediano dai piedi educati.

 

«Eravamo orfani di Briegel e Fontolan, non due qualunque. D’altra parte c’era Hateley, che era imbattibile sulle palle alte. Lo prese in consegna Volpati, io dovevo stare attento a Scarnecchia. Ho avuto anche l’occasione di far gol ma Franco Baresi fece un recupero dei suoi e ciao sogni di gloria. Però non feci male, anzi».

 

CADÈ, RADICE E BAGNOLI. «Da giovane ero discreto», racconta Donà, «Mondiale Under 20 in Australia con l’Italia e mi prese il Milan di Radice. Sono sempre stato umile e al mio posto ma certe regole non mi piacevano, così scappai dal ritiro di Asiago del Milan e fu dura raffrontarmi poi con mister Radice». Una fuga d’amore per Patrizia, che poi sarebbe diventata sua moglie. «Dovevo rientrare dopo due giorni, ne feci sette da latitante invece». I tifosi rossoneri quindi erano già maldisposti con Donà. «Noi eravamo un po’ cotti» racconta Dario, «Hateley rientrava dall’infortunio. Non so che mi prese, avevo forse paura ma gli diedi una spallata talmente forte che lo mandai addosso ai cartelloni pubblicitari. Ero davanti alla panchina del Milan, non vi dico le parole, anche del pubblico. Mi fischiarono per tutta la partita. Bagnoli è stato un grande, ma parlava poco. Di un’altra pasta Giancarlo Cadè, allenatore illuminato che ebbi nel proseguo della carriera».

 

TURCHETTA COME DIEGUITO. «Darione» come veniva chiamato, è in pensione da qualche anno. Si occupava di logistica per un’importante azienda. «Faccio qualcosina con mia figlia, ma poco. Ho una bella casa e mi dedico, in questi giorni di quarantena, al giardino». Su chi fosse più forte del gruppo dello scudetto non ha dubbi: «Elkjaer quando decideva era il più forte attaccante del mondo, Di Gennaro classe pura e poi il mio amico Turchetta, un fenomeno».

 

COSE DA «TURCO». Se c’era un giocatore che risentiva della pressione domenicale quello era Franco Turchetta, altra riserva di lusso di quel Verona. «Esatto», commenta Donà, «quando eravamo insieme a Varese, mister Fascetti insieme al professor Arcelli ci portava a correre attorno ad un campo da golf. Eravamo esasperati, poca palla e tanta corsa. Il “Turco” vide una pallina da golf e si mise a palleggiare con quella, mai vista una cosa del genere. Forse Maradona con l’arancia. Turchetta in quello era ai livelli di Diego». Nella chat di Whatsapp si inserisce Domenico Volpati. «Dov’eri finito Dario?». Racconta l’uomo preposto alla marcatura di Hateley. «Mamma mia, trentacinque anni esatti da quella partita... Donà fu bravissimo a San Siro e poi ci fu una parata straordinaria di Garella. L’unica volta che Hateley me l’aveva fatta, ci mise un pezza Claudio deviandola sul palo. Pensa che ero talmente concentrato sull’attaccante del Milan che a volte a forza di ostacolarci la palla non la prendevo né io né lui».

 

L’incursione del «Volpe» dura poco. A distanza di 35 anni quel gruppo è solido. E quella squadra resterà nella memoria di tutti, come del resto quello zero a zero a San Siro. L’ultimo vero Diavolo da sconfiggere sulla strada che conduceva al paradiso. •

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