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«Il mio Verona va oltre i limiti. Segreti? Fanatici del lavoro»

Abbracci Hellas nella festa di Bergamo FOTOEXPRESSIvan Juric, quindici punti in nove partite
Abbracci Hellas nella festa di Bergamo FOTOEXPRESSIvan Juric, quindici punti in nove partite
Abbracci Hellas nella festa di Bergamo FOTOEXPRESSIvan Juric, quindici punti in nove partite
Abbracci Hellas nella festa di Bergamo FOTOEXPRESSIvan Juric, quindici punti in nove partite

A Spalato le chiamano “ratničke duše“, le anime guerriere. Ivan Juric le ha ritrovate nel suo Verona. «Vivono come sfida ogni cambiamento. Per il piacere di farlo». Il segreto dell’Hellas “mutaforma“ sta tutto lì. Non c’è alchimia, c’è spirito. «Parlo molto ai miei ragazzi. E loro condividono» racconta il mister a chi gli chiede di svelare dove si trova il Sacro Graal dell’Hellas di Juric. «Sanno dove andare. Tameze, il terzo di difesa non l’aveva mai provato in allenamento. Prima volta a Bergamo. E Zaccagni il quinto non l’aveva mai fatto prima. Sono straordinari. Mi stupiscono. Il segreto forse è rendere ordinario ciò che sembra straordinario». Cinquanta partite da capo allenatore. Il conto tondo proprio a Bergamo. La gara perfetta? «Quella da ricordare è senz’altro la vittoria dello scorso febbraio in casa contro la Juve». E da rigiocare? «No, nessuna. Siamo sempre andati in campo con la convinzione di dare tutto. Non cambierei nulla». L’Hellas di Juric, a breve, potrebbe richiedere il copyright. «Non so se siamo unici. Di sicuro, quest’anno abbiamo imparato ad andare spesso e volentieri oltre i nostri limiti. L’anno scorso non andava così: la squadra era tosta, cattiva, organizzata. Ma si esprimeva sui suoi livelli standard. Quest’anno ho visto un’evoluzione: viaggiamo oltre». E quali sono gli uomini che meglio incarnano oggi lo Juric pensiero? «Dimarco, Zaccagni e Dawidowicz hanno segnato una grande crescita nel loro percorso di campo». Il capolavoro di Bergamo può essere considerato tale? «A Bergamo, sul piano del gioco, abbiamo fatto meno bene delle gare giocate contro Sassuolo e Cagliari. Certo, per mezz’ora ho visto un grande Verona: attento, lucido, cattivo. Dopo la rete di Veloso si è creato tantissimo. La prova è stata ottima». Ma il miglior calcio, Ivan, l’aveva visto al Bentegodi contro gli uomini di De Zerbi e in Sardegna. «Ma si può anche viaggiare non sempre oltre il limite» osserva il tecnico croato. Domani c’è il Cagliari al Bentegodi. Sfida all’ora di pranzo. «Non abbiamo ancora digerito del tutto l’eliminazione dalla Coppa Italia proprio per opera loro. Il Cagliari merita grande rispetto. Dovremo trovare il sistema per attaccarli nel modo giusto al momento giusto. Evitando di perdere palloni stupidi. Perchè la differenza sta nei dettagli». Il campionato dice cose strane. Forse inquietanti. Le neopromosse Spezia e Benevento corrono fin troppo. In fondo galleggiano nobili decadute. «Questo vuol dire» riflette Juric «che sarà ancora più dura salvarsi. Chi sta in fondo e ha blasone, non credo ci resterà a lungo. E le neopromosse hanno dimostrato di avere avuto buon impatto. Quanti punti servono quest’anno per salvarsi? Oggi non lo so. Ma l’obbiettivo è ben chiaro in testa». E qui non ci sono tante ricette. «Per salvarci dobbiamo rimanere fanatici del lavoro. Migliorando i dettagli, giorno dopo giorno». Poi, però, c’è anche la finestra del mercato. «Potrebbe rappresentare una grande opportunità. Ma oggi stiamo calmi e non abbiamo fretta. Di certo, non abbiamo necessità di vendere. Possiamo solo migliorare. Poi, succede magari che possa arrivare un’offerta di grande valore per qualche nostro giocatore, come è successo in passato. Tutto va valutato con grande attenzione. Il segreto, però, del nostro momento felice sta anche nella condivisione. In campo io e Tony D’Amico la pensiamo nella stessa maniera. I ragazzi vengono messi tutti sullo stesso piano. Abbiamo rinnovato per tre anni il nostro terzo portiere Berardi. Segnali di fiducia che compattano il gruppo e spingono tutti a dare sempre qualcosa in più». Verona maturo? «No, non ancora pronto. Il processo di crescita è appena iniziato. Ci vuole tempo». •

Simone Antolini

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