<img height="1" width="1" style="display:none" src="https://www.facebook.com/tr?id=336576148106696&amp;ev=PageView&amp;noscript=1">
IL PALLONE RACCONTA

Italo Ghizzardi, «el fiol del cogo» portiere degli spareggi salvezza del 1958: «C'erano 40 gradi...»

La retrocessione della Dea diede l'ultima possibilità Si gioco con l'afa nel luglio del '58 a Bologna e Roma Il ricordo di due super testimoni: Ghizzardi e Basiliani
Un’uscita spericolata di Italo Ghizzardi, presente nei due spareggi
Un’uscita spericolata di Italo Ghizzardi, presente nei due spareggi
Un’uscita spericolata di Italo Ghizzardi, presente nei due spareggi
Un’uscita spericolata di Italo Ghizzardi, presente nei due spareggi

«Ditemi ma a che ora gioca il Verona? Domenica vero?». Come si può non commuoversi quando dall’altra parte del telefono Italo Ghizzardi, classe 1937, parla col cuore. «È gialloblù, fino a quando il Signore mi chiamerà».

Lui è stato il portiere della prima storica promozione in Serie A e, purtroppo, anche quello che perse gli spareggi di Bologna e Roma nel 1958 contro il Bari allenato da Federico Allasio, papà di Marisa Allasio, divina creatura del cinema Anni Cinquanta e Sessanta, rivelatasi col film «Poveri ma belli» di Dino Risi. Era chiamato «El fiol del Cogo», anche se a Savona erano soprannominato «Il lattaio volante». Quale dei due, Italo? «Il primo, qui sono arrivato a fine carriera. Darei tutta la mia pensione per scendere in campo col Verona. Bravo Montipò, l’ho visto in tv».

Papà Mario cuoco al Torcolo, quando il ristorante era gestito dalla famiglia Pomari. «Noi abitavamo in piazza Bra e nel locale venivano tutte le squadre, lo sa?». Lì ho conosciuto Tavellin, che poi è stato mio allenatore. Guido avrebbe dovuto vivere in eterno. Era un idolo per me. Faceva gol da calcio d’angolo. Lui e Bagnoli, mio compagno di squadra calciavano meglio di tutti. Era con noi a Bologna e Roma nel luglio del 1958. Abbiamo giocato con quaranta gradi. C’era Gipo Viani come consulente tecnico e un altro che non ricordo (Bonizzoni ndr). Confidai al nostro segretario Pasini quello che ci dicevano da Bari. E cioè, che loro si allenavano al mare, per abituarsi alla calura, mentre noi andammo in montagna. Un errore. Eravamo cotti. Ma lo sbaglio fu fatto prima. Pagammo la malattia di Bagnoli e certe decisioni arbitrali. Eravamo una squadra giovane e con un società ancora più acerba. Sesti nel girone di andata. Poi successe di tutto. Aiuti alle grandi, partite truccate e noi finimmo la benzina. Pensi nel finale giunse perfino un preparatore atletico di colore, fu inutile. Piansi per settimane».

Leggi anche
Hellas, ultima chiamata: con lo Spezia serve recuperare l'anima

C’era anche “Basilio“ Gli fa eco, un doppio ex, Auro Basiliani, che giocava davanti a Ghizzardi. «Bello che mi chiamate», un velo di tristezza nell’ex difensore gialloblù. La voce è meno squillante. «Avete presente Lautaro Martinez? Ecco Erba, che ci castigò, assomigliava all’argentino. Aveva uno stacco imperioso». In campo entrambi. Sia a Bologna che a Roma. All’Olimpico c’erano trentamila tifosi del Bari, gara già indirizzata». Il mitico «Basilio» torna all’attualità. «Ma come si fa a vendere tutti? Quando da anni si gioca per l’ottavo posto e poi ti cedono tutti i più forti, ecco la fine che fai. Dai speriamo. Forza Hellas».

L’ultima occasione Nel giugno del 1958 arriva finalmente la sentenza: l'Atalanta viene retrocessa ultima e condannata alla B, il Verona passa al penultimo posto ed acquista il diritto a giocarsi la permanenza in A in uno spareggio col Bari (secondo della B), mentre Azzini viene squalificato a vita. Al Verona viene dato così un'ultima possibilità, anzi doppia, di rimanere in A. Le cose però, come sappiamo vanno ancora una volta nella maniera sbagliata e i due spareggi servono solo ad umiliare una squadra senza anima. Il Bari vince in carrozza sia all'andata che al ritorno grazie ai tre gol del suo bomber, Erba. Al Verona sarebbe bastato vincere a Roma per restare nella massima serie. «Gundersen era simpatico e poi aveva i numeri» ricorda Basiliani, ma non era continuo e Bassetti aveva imboccato il viale del tramonto. Ho avuto l’onore di essere amico e compagno di squadra di Del Vecchio. Manè era una specie di Cristiano Ronaldo, più tecnico del portoghese. Eravamo sempre insieme. Era uno spasso. La nostra salvezza dovevamo conquistarla molto prima. Se non ricordo male avevamo battuto il Milan e il Napoli. Potevamo rimanere in A».•.

Gianluca Tavellin

Suggerimenti