Era forse destino che Dino Da Costa, classe 1931 salutasse il mondo proprio quando Roma e Verona, tra le squadre da lui più amate, si sono messe a bisticciare per un calciatore straniero. Lui che giocò anche con la maglia dell’Italia. Dino Da Costa a metà Anni Cinquanta faceva impazzire Alberto Sordi, noto tifoso romanista e non solo lui. È stato uno dei calciatori brasiliani più amati, tanto da diventare un oriundo, in verità con poca fortuna, della nostra nazionale, visto che gli azzurri persero in Irlanda e non andarono al mondiale svedese del 1958. Il Verona, Dino, l’ha conosciuto tardi. A 35 anni suonati e in serie B. La foto lo ritrae proprio in un «giovane Bentegodi». Ma all’Hellas era rimasto legato. Lo ricordiamo fin maestro di tecnica ad inizio Anni Ottanta nelle giovanili, quando con i «Tango» usati della Prima Squadra insegnava ai piccoli gialloblù il dribbling e come calciare in porta. Lui che aveva giocato con Garrincha e Luis Vinicio, segnando gol a grappoli per il suo Botafogo. In Brasile “Dino“ era famoso. In Italia vinse la Coppa Italia più volte con Fiorentina e Roma. Detiene ancora oggi il record di reti segnate nei derby con la Lazio, ben 12. Totti si è fermato a 11. Di testa, in dribbling o con un calcio pulito dal limite dell’area, segnava sempre. Allenò le giovanili gialloblù dal 1980 al 1989 e poi si dedicò solo alla tecnica per i più piccoli. «Se ne va un grande del calcio del Dopoguerra», racconta Giancarlo Savoia, suo compagno di squadra nel Verona 1966/’67. «Dino era come tutti i brasiliani. Giocava al calcio prima di tutto per divertirsi. Le sue annate più belle le ha fatte alla Roma ma ha giocato pure alla Juve con Altafini e Del Sol. Segnava almeno 20 gol a stagione, arrivò qui a fine carriera e comunque si fece rispettare». La squadra gialloblù in quel campionato cambiò tre tecnici: Tognon, Pozzan e Liedholm. Gli ultimi due rimasero e l’anno successivo, portarono l’Hellas in A. «Dino era sempre allegro e molto distinto. Era rimasto a vivere qui a Verona in una casa vicina allo stadio», conclude Savoia, «era molto conosciuto».