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L’INTERVISTA

Dino Zoff e la morte di Garella: «Claudio aveva uno stile unico ed era l’uomo delle imprese»

L’icona dei portieri italiani regala a L’Arena l’ultimo saluto al «gigante buono»
Claudio Garella e Dino Zoff
Claudio Garella e Dino Zoff
Claudio Garella e Dino Zoff
Claudio Garella e Dino Zoff

I loro silenzi generavano rumore. Storie diverse quelle di Dino Zoff e Claudio Garella. Il serafico friulano, asciutto nello stile e nelle parole. E il sabaudo “guardiano di porta“ dalle movenze circensi e dal sorriso pallido. Dino è la Storia. Claudio l’anti eroe che oggi molti piangono. Per affetto, per nostalgia, per solitudine. Già, la solitudine dei numeri primi. Che più volte dev’essere arrivata a solleticare l’anima di Zoff e Garella.

 


Una partita speciale C’è una data che merita di essere ricordata: Dino e Claudio si incrociarono al Bentegodi il 26 settembre 1982. Giornata, per certi versi, storica in casa Hellas. Coincisa con la prima vittoria di Osvaldo Bagnoli da allenatore in serie A alla guida dei gialloblù. Il primo faccia a faccia tra l’eterno Zoff e Garellik vestito di gialloblù (i due si erano già incontrati nella stagione ’77-’78 quando Garella era alla Lazio ndr). Il Verona stampò un due a uno garibaldino dopo avere iniziato la stagione con due ko contro Inter e Roma. Reti di Fanna e Tricella. Sigillo juventino di Paolo Rossi al novantesimo.
«Claudio inventò uno stile» racconta Zoff, 80 anni compiuti lo scorso 28 febbraio, mare calmo di cui non si vede il confine.
Parlare di Garella oggi non è facile. La morte spesso genera una coltre di retorica destinata a coprire il senso ultimo delle cose. Ma Zoff è oltre. Come quella al Mundial di Spagna (Italia-Brasile 3-2, paratissima salva partita all’ultimo secondo su colpo di testa di Oscar ndr). «Claudio ci ha lasciati poche ore prima di quella che sarebbe stata la sua partita. Il ricordo sarà ancora più forte. Ha vinto dove altri non avrebbero osato vincere. Ha vinto e basta».

 

Questione di stile Zoff era puro stile Juve. Garella era un portiere vestito di arcobaleni. «Claudio parava. Contava solo quello. Lo faceva a modo suo. E questo lo rendeva ancora più bello. Si prese pure i complimenti dell’Avvocato Agnelli». Non da tutti.
Zoff ha segnato un epoca di portieri senza frac ma con le mani grandi, il cervello fino e il carisma del Mahatma Gandhi. «Garella vinse quando non c’era da vincere, quando non era scontato. Ma vinse. Ricordo ancora lo scudetto del Verona. E Claudio fu uno dei protagonisti assoluti di quell’impresa». Perchè, se non prendi gol, sei a metà dall’opera. «Si è discusso molto del suo stile» racconta ancora Zoff, «ma alla fine, un portiere è messo lì per parare. Tutto il resto serve solo per accendere discussione».

 

Dolore L’addio improvviso di Claudio «genera un forte dispiacere. Provo un grande senso di tristezza perchè Garella, a modo suo, era unico. E di sè ha lasciato un’immagine di un ragazzo capace di regalarci cose pregevoli, attimi stupendi». Miracoli. «Sì, miracoli sportivi. Uno proprio lì da voi, al Verona. Quello fu lo scudetto delle sorprese, lo scudetto di un grande gruppo, di una grande squadra. Ma soprattutto di un grandissimo Garella, capace di prendersi da solo una fetta di scudetto». E poco importa che Claudio usasse poco le mani. «Usava anche quelle. Ma si è sempre distinto per quel suo essere diverso nel momento in cui andava fatta la cosa giusta. Lo stile conta poco. Conta raccontare di avere vinto uno scudetto in una piazza che non se lo sarebbe mai aspettato. E Garella, quel miracolo, lo fece due volte».

Simone Antolini
simone.antolini@larena.it

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