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PARLA IL MISTER

Cioffi scalda l’Hellas. «Per me è un’altra sfida da vincere»

Gabriele Cioffi durante la conferenza stampa di presentazione
Gabriele Cioffi durante la conferenza stampa di presentazione
Gabriele Cioffi durante la conferenza stampa di presentazione
Gabriele Cioffi durante la conferenza stampa di presentazione

Fisico asciutto e impostato verso l’alto, battuta e sorriso sempre presenti. Modi nobili, d’altronde il Dna è quello. Ecco la prima impressione che ha dato di sè Gabriele Cioffi. Ha ringraziato il presidente Setti e il diesse Marroccu per l’opportunità che gli hanno dato. Ha portato con sè il fratello Matteo, ma è il figlio Tancredi che lo preoccupa di più. «Esatto» ride il neo mister, «ha otto anni ma vuole sempre sapere chi compra il Verona. È già un grande tifoso». A completare la famiglia Cioffi, la moglie, signora Fabiana.

 

Sarà un Verona fisico?

Sì, lo è sempre stato. Essere fisici non significa avere soltanto avere calciatori da 1,90 metri, ma vuol dire essere intensi. Voglio una squadra che si sporca, che entra in campo e vende cara la pelle. Le squadre amate e seguite dai tifosi sono quelle che dimostrano di tenerci, non a chiacchiere o a proclami, ma a fatti.

 

Quanto inciderà questa sosta per il Mondiale?

Inciderà quanto noi le permetteremo di incidere. Abbiamo avuto tutto il tempo di programmare. Credo che inciderà più per le grandi che avranno 10-12 nazionali a testa. Manterrà la stessa fisionomia dell'ultimo Verona? Sì, ma in maniera diversa. Creeremo delle linee di aggressione da cui andremo uomo a uomo. Personalmente non andremo a marcare in ogni zona del campo, ma è la conseguenza di una zona d'aggressione. Quanto spettacolare sia il gioco non posso garantirlo. A me piace un calcio propositivo. Si va avanti, ma con equilibrio. Sono già arrivati Piccoli e Djuric. Presto Henry. Il mercato ha portato a fare determinati acquisti. Essere grande e grosso non vuol dire essere fisici, altrimenti si va a giocare a rugby. Quelli che sono arrivati compensano ciò che mancava prima, ossia una punta di peso che dia respiro alla squadra.

 

Si è speso per la permanenza di qualcuno?

L'avrei voluto fare, ma se l'avessi fatto non mi sarei reputato una persona intelligente. Nel calcio di oggi si parla tanto di sostenibilità, ma la sostenibilità va eseguita. Certe società, Verona inclusa, non pagano gli stipendi se non vendono. Di conseguenza si vende chi fa bene. Però la storia del Verona, del presidente Setti, del direttore Marroccu dimostra che per chi esce c'è qualcuno che entra. Caprari è in Nazionale, Ilic lo vuole mezzo mondo. Non dobbiamo avere alibi. In campo entrano i calciatori che vanno indirizzati dalla gestione societaria e tecnica. Cancellieri via? Che peccato. Mi piaceva molto, ha grande fisicità e sa attaccare lo spazio. Ha espresso poco. Il mercato ha portato a questa scelta, verrà un Cancellieri 2, non so come si chiamerà ma farà altrettanto bene. I primi giorni con Setti? È carico, ha voglia di fare. Carpi e Mantova sono zone che sento mie, per me sono ricche di bellissimi ricordi. Il presidente vuole quello che voglio io, ossia vincere le partite. Come gestirà il traffico in attacco? È giusto che ci sia grande competizione. Poi se davanti saranno in due e non in tre ci sarà da correre di più.

 

Porterebbe a Verona qualcuno della sua Udinese?

Sì e no. Mi metterebbe in una comfort zone ma i valori che trovo qui sono altrettanto importanti. Marroccu ha speso parole importante per lei. Ora siamo nel periodo dell'innamoramento, potremmo fare qualsiasi cosa e andremmo bene. Io e lui ci troveremo sempre, ma il calcio è semplice: vinci le partite? Sei bravo. Non le vinci? Vai a casa. Quanto guarderà alla Primavera? Il Verona porta in Prima squadra giocatori dal vivaio e li fa diventare plusvalenze importanti. Ci sono ragazzi di prospettiva: Coppola, Terracciano, Amione che rientra.

 

E' stata formativa per lei l'esperienza all'estero?

Quello che sono ora io come persona e allenatore è il frutto del percorso e sarà così anche tra dieci anni. Non so se un allenatore debba formarsi all'estero. Io all'inizio sono stato costretto, perché il telefono non squillava e io non sono un passivo. Ho preso la valigia e sono andato. Per me è stato formativo, ti approcci in maniera diversa ai problemi. Il percorso è stata una delle chiavi che ha permesso a me e allo staff di fare bene a Udine, dove ci sono calciatori stranieri, culture diverse. Ha usato molto il termine sfida. Se non c'è la sfida, lo sport perde di pathos. Quello che hanno fatto i ragazzi non basta, ci vuole di più, con grande umiltà. Una sfida è mantenere un matrimonio per trent'anni, una sfida è avere due figli, è tutto una sfida. La sfida è in tutto e in tutti i lavori. Io so che sto per affrontare una salita bella ripida, dobbiamo tenere la testa bassa e camminare.

 

Quant'è importante suo fratello Matteo, che è nel suo staff?

L'ho portato qui perché è una persona preparata. Parenti, fratelli e amici non c'è spazio se non si hanno competenze. Abbiamo 18 mesi di differenza, siamo in simbiosi fuori dal campo, in campo invece abbiamo responsabilità ben precise.

 

Questa per lei è anche una sfida con l'Udinese?

La sfida è contro me stesso. È sempre stata contro come stesso. Non avevo compiuto ancora 23 anni e mi ero rotto tre crociati, sono arrivato a 30 anni in Serie A, questa è una sfida. La sfida è dire a tua mamma che non andavi a lavorare perché avresti vissuto col calcio. E ce l'ho fatta, almeno per il momento (ride, ndr). È tutto una sfida».

Gianluca Tavellin

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