Ha sempre calcolato tutto Massimo Donati. Ragionatore nato. A tal punto che persino il destino, sul più bello, è stato quasi costretto ad assecondarlo. Giusto nove anni fa. Gol alla sua Atalanta e assist per il raddoppio dell’amico Toni, appena prima di un infortunio muscolare che trasformò quella recita a Bergamo nella sua ultima di Serie A. Era solo un indizio di quel che sarebbe successo dopo, la scelta di tornare a Verona per viverci con la sua famiglia dopo gli anni ruggenti nella terra di Scozia. Conosce bene il termometro di certe battaglie Donati. Quelle che gli sono sempre piaciute tanto, quelle in cui era sempre in primissima fila.
Partita rischiosa
«La partita è difficile per tutte e due, non solo per il Verona. D’accordo i valori tecnici, ma dentro c’è tanto altro. A partire dalla tensione della settimana. Dall’inevitabile ansia che ti accompagna. Molto dipenderà anche da come è stata preparata», la lettura di Donati, sontuoso interprete nel Verona dei 54 punti con Mandorlini nella prima stagione di Serie A, anello forte nella batteria dei Toni, Jorginho, Iturbe e Romulo. Perfetta guida oggi del Legnago tornato subito in Lega Pro.
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Non solo ricordi
L’Atalanta è stata la sua prima casa. La Dea del maestro Mino Favini, gigante senza tempo di Zingonia. Di Giovanni Vavassori alla Primavera, altro pilastro di quel vivaio magnifico già allora. Di Eugenio Perico agli Allievi, quando Donati venne premiato come miglior giocatore al Trofeo Ferroli di San Bonifacio del 1997 vinto battendo il Vicenza in finale. Proprio Perico, quello del gol al Verona il 12 maggio del 1985 prima che Elkjaer rimettesse tutto a posto nel memorabile pomeriggio dello scudetto. Altro segno del destino. Ha corso sempre forte Donati. Anche verso il debutto in A, con Vavassori titolare già alla prima contro la Lazio di Eriksson che dopo una delle tante perle di Mihajlovic strappò il pari solo nel finale con un guizzo di Simone Inzaghi. Dispensa equilibrio Donati, anche stavolta. Uno dei suoi grandi pregi. Testa bassa e via. Abituato così da quella straordinaria scuola di Bergamo che ne ha formato il carattere e ulteriormente rafforzato la corazza. Fino a diventare cittadino di Verona.
Strada unica
Dura rimanere lucidi col fiato sospeso e il cuore in gola. Più semplice per uno come Donati. «Il percorso dell’Hellas da gennaio in avanti è positivo, non può essere la prestazione col Torino a cancellare improvvisamente il lavoro degli ultimi mesi. Guai se fosse così. Non ha senso», il quadro di Donati, «pensare ora a quel che è stato. E sono sicuro che il Verona in questi giorni non l’ha fatto. L’importante sarà soprattutto riuscire a coniugare serenità e determinazione. Le partite possono essere in teoria leggermente più difficili o più facili, ma in realtà specie in questo periodo sono complicate per tutti. Sapendo che devi farcela solo con le tue forze. Nessuno ti regala niente, questa è la verità. E margini d’errore non ce ne sono più. Basta commetterne anche uno solo e rischi di vanificare un’annata intera. A questo punto vai dai tuoi giocatori migliori, ti affidi a quelli più in forma. E dai tutto, dall’inizio alla fine. Non c’è altra via».
Dolci ricordi
Non ha segreti l’Atalanta ai suoi occhi, precocissimo talento gettato nella mischia già in B nel campionato della promozione della Dea anche grazie alle volate ad intermittenza di Caniggia, ai gol di Caccia, al mestiere di Carrera, alla faccia pulita di una futura bandiera come Bellini. Uno dei tantissimi campioni creati in quell’inimitabile laboratorio.
Subito dopo sarebbe stato, ad esempio, il turno di Pazzini. E di tanti altri. «Non ha avuto vera continuità quest’Atalanta», la radiografia di Donati, «le è mancata soprattutto la regolarità. Quel che evidenzia in fondo la sua classifica. Ma è ancora in corsa per un obiettivo. E, proprio come il Verona, vorrà assolutamente raggiungerlo».
Quella di oggi, dunque, diventa la partita delle ultime speranze. Salvezza contro Europa. Le stesse paure, le stessi aspirazioni. Per il Verona che vuole restare vivo. Per la Dea che vuole rilanciarsi.